06/12/2019 – L’assegnazione di mansioni superiori non è un mero atto formale

L’assegnazione di mansioni superiori non è un mero atto formale
Le mansioni superiori possono essere affidate se vi è la chiara prevalenza qualitativa, quantitativa e temporale.
La sentenza 22.11.2019, n. 30580 della Cassazione sezione Lavoro evidenzia un aspetto della gestione delle mansioni superiori che generalmente viene sottovalutato, quando non sfugga del tutto, agli operatori: l’assegnazione delle mansioni superiori non è per nulla solo un mero atto formale, ma è legittimamente disposta solo laddove si dimostrino esistere tutti i presupposti necessari.
Spesso, le amministrazioni si fermano solo alla verifica delle condizioni oggettive che legittimano le mansioni superiori, descritte dall’articolo 52, comma 2, del dlgs 165/2001. Si tratta di tre condizioni. La prima è la sussistenza di «obiettive esigenze di servizio».
Occorre, quindi, in primo luogo dimostrare che il servizio, senza l’adibizione di un lavoratore cui assegnare le specifiche mansioni andrebbe in difficoltà; ma non basta, occorre dimostrare l’opportunità che quelle mansioni siano assegnate proprio a quel lavoratore e che questo comporti le mansioni superiori.
In secondo luogo, occorre che l’esigenza di servizio sia determinata da una vacanza di posto in organico di durata non superiore a sei mesi, prorogabili fino a dodici, e a condizione che siano state avviate le procedure per la copertura.
Oppure, in terzo luogo, le esigenze di servizio possono derivare dalla necessità di sostituire un altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.
La dimostrazione, di per sé né automatica né agevole, di queste condizioni oggettive non è sufficiente. L’attribuzione delle mansioni superiori è ammissibile solo se ricorrano anche altre condizioni si carattere soggettivo, che riguardano il modo col quale il lavoratore è chiamato a svolgere le mansioni.
Il comma 3 dell’articolo 52 del dlgs 165/2001 sul punto è estremamente drastico e preciso: «Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni».
Dunque, non bastano le condizioni oggettive: occorre che il singolo dipendente destinatario di porre rimedio a una carenza in organico finisca per svolgere le mansioni proprie della categoria superiore in modo prevalente.
La prevalenza, ovviamente, va riferita alle mansioni di provenienza. In sostanza, i compiti assegnati debbono portare il dipendente a trascurare le mansioni e le attività attinenti alla categoria e profilo di appartenenza, perché si dedichi invece, in modo «prevalente» alle attività superiori. Con una prevalenza temporale (più, quindi, della metà delle 36 ore settimanali di lavoro), che, come tale, è anche quantitativa; e con una prevalenza qualitativa: le mansioni superiori non sono solo formali, ma impongono la reale e concreta maggiore qualità delle attività svolte, connesse concretamente all’incarico ricevuto.
In assenza di queste condizioni l’incarico di mansioni superiori è illegittimo. Come dimostra la sentenza della Cassazione, per un verso il dipendente, sul piano giuslavoristico, non potrebbe vantare un loro riconoscimento.
Per altro verso, però, l’assegnazione solo formale, ma non sostanziale, delle mansioni superiori potrebbe essere fonte di danno erariale, dovuto al pagamento di maggiori retribuzioni non connesse sul piano qualitativo e quantitativo ad attività realmente ascrivibili alla categoria superiore.

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