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Controllori controllati Dirigenti precari

Nelle agenzie fiscali Così il governo Li può condizionare

Il potere vuole decidere gli incarichi di responsabilità

Negli uffici per “indirizzare” le tipologie degli accertamenti

di Salvatore Sfrecola

 

Tra le cose non buone che il 2017 lascia in eredità al nuovo anno, oltre al rincaro delle bollette di gas e luce, vi è senza dubbio una evasione fiscale di proporzioni mai viste. Del tutto sconosciuta agli altri paesi europei, la difficoltà di riscuotere le imposte ha molte origini. Nello stesso sistema tributario, ovviamente, un mostro che soffoca cittadini e imprese, ma anche nella condizione delle agenzie fiscali. L’apparato, un tempo fiore all’occhiello dell’amministrazione italiana, vive oggi gli effetti negativi della precarietà della dirigenza degli uffici. Quei posti di funzione, infatti, sono coperti in via provvisoria da anni. Un caso? No, una scelta politica che assicura al potere governativo il controllo totale di quei funzionari, perché incaricati ma non vincitori di concorsi. Che non si fanno dall’insediamento delle agenzie fiscali, ad onta di una chiara indicazione della Corte costituzionale.

Fin dal 2015, infatti, con la sentenza n. 37 la Consulta ha ricordato al Ministero dell’economia, che ha l’“alta vigilanza” sulle agenzie, che, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione, “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”. E che questo è necessario anche nei casi di “nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio”, come nel passaggio ad una fascia funzionale superiore. Infatti, si legge nella sentenza, “l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate è soggetto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso”. Sicché, ha spiegato la Consulta, si ha un intollerabile “aggiramento della regola del concorso pubblico” quando si provvede alla copertura provvisoria delle vacanze verificatesi nelle posizioni dirigenziali, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, «fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza» e, comunque, fino ad un termine finale predeterminato”. Termine di volta in volta prorogato, a partire dal 2006, con apposite delibere del Comitato di gestione delle agenzie che “hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti”.

Che fanno, dunque, le agenzie fiscali? Ricorrono, spiega Pietro Paolo Boiano, Segretario generale aggiunto della DIRSTAT, lo storico sindacato dei dirigenti pubblici, ad una “soluzione rabberciata prevedendo “posizioni organizzative speciali” e “posizioni organizzative a tempo”, da cui all’acronimo “pos-pot”, di cui sono stati destinatari gli incaricati decaduti a seguito della sentenza”. Tutto questo, quando avrebbero potuto chiamare in servizio gli idonei delle graduatorie dei concorsi a dirigente i quali hanno superato prove scritte e orali e non sono stati assunti in prima battuta solamente per il limitato numero dei posti messi a concorso. Avrebbero assicurato certamente garanzie di competenza maggiori di quanti spesso non hanno passato nessuna selezione.

Non basta. Con un emendamento alla legge di bilancio 2018 si prevede che le Agenzie fiscali possano prorogare “pos” e “pot”, fino al 31 dicembre 2018 nelle more dei concorsi le cui procedure molto probabilmente saranno impugnate per disparità di trattamento in quanto a coloro i quali hanno avuto incarichi dirigenziali (“pos e pot”, appunto) è assicurato un doppio vantaggio. Un primo per aver avuto un incarico illegittimo, un secondo perché, in sede di concorso, quell’incarico li avvantaggia in quanto esclude che debbano partecipare alle preselezioni. Inoltre, l’art. 49-bis della legge di bilancio prescrive espressamente che nei concorsi futuri si dia rilievo “anche alle esperienze lavorative pregresse”. Che, detta così, sembra una cosa “buona e giusta”. Valorizzare l’esperienza è senza dubbio saggio. Ma come sempre “est modus in rebus”. L’esperienza deve essere valutata in concorso con altre attitudini, capacità professionali e cultura giuridica. Perché se l’esperienza è maturata in una posizione illegittima determina un vantaggio ingiusto che limita fortemente le possibilità per gli esterni, preparati e desiderosi di dimostrarlo, e consolida la posizione di coloro i quali hanno tenuto gli incarichi bocciati dalla Corte costituzionale.

Non ci vuole molta immaginazione per capire chi vincerà le prove finali se e quando si faranno. Un esempio viene da Savona, dalla selezione nazionale bandita per la delega delle funzioni di direttore provinciale della locale Agenzia delle entrate. E così un concorrente, del quale la commissione giudicatrice ha riconosciuto ottima preparazione, dimostrata anche da pubblicazioni scientifiche ed iniziative di formazione, è rimasto fuori in “assenza di esperienza di gestione di unità organizzative di livello dirigenziale”. Ed ha vinto chi aveva fatto esperienza proprio con una delle posizioni dirigenziali bocciate dalla Corte Costituzionale.

La DIRSTAT non ci sta e si appresta ad impugnare i bandi. Ritiene “la norma della legge di Bilancio la prova provata che i concorsi non si vogliono in modo che tutti i concorrenti abbiano davvero le stesse possibilità. Con tanti saluti all’articolo 97 della Costituzione e alla sentenza della Corte”. Già in passato procedure simili (anche se non previste da una legge ad hoc come in questo caso) sono state bocciate da Tar e Consiglio di Stato su ricorso del sindacato. Il quale insiste per il conferimento delle deleghe di funzioni vicarie, come dispone il testo unico del pubblico impiego, il dlgs 165/2001, perché, nelle more dei concorsi, sia valorizzata la professionalità dei funzionari di qualifica più elevata, come espressamente indicato dalla Consulta. Ciò in applicazione della regola, propria degli ordinamenti amministrativi, secondo la quale, in assenza dei dirigenti apicali, le funzioni devono essere temporaneamente attribuite a coloro che li seguono nel ruolo di quella che un tempo si chiamava carriera direttiva. Anche per rispettare regole costituzionali fondamentali, come quelle del “buon andamento” e della “imparzialità dell’amministrazione”, che si leggono sempre nell’art. 97 della Costituzione. E per non mortificare la preparazione professionale e la voglia di farsi valere dei funzionari che costituiscono il nucleo essenziale dell’apparato amministrativo.

Ma la politica vuole la precarietà per decidere liberamente chi incaricare di dirigere gli uffici ed indicargli su quale contribuente fare accertamenti. Insomma, dirigenti di fatto a disposizione della politica anziché, come si legge nell’art. 98 della Costituzione, “al servizio esclusivo della Nazione”. E non accade solo lì, come dimostra l’esperienza, ovunque è applicato lo “spoil system all’italiana”.

(da La Verità, 2 gennaio 2018, pagina 6)

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