04/06/2019 – Responsabile l’albergatore che ha omesso il versamento della tassa di soggiorno al Comune anche se si trova in difficoltà finanziaria

Responsabile l’albergatore che ha omesso il versamento della tassa di soggiorno al Comune anche se si trova in difficoltà finanziaria

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 19925, del 9 maggio 2019, nel confermare la condanna inflitta dalla Corte di appello, ha affermato che l’albergatore non può fare leva sullo stato di bisogno della sua attività per giustificare il fatto di non aver riversato al Comune la tassa di soggiorno incassata.
Il fatto
Una imprenditrice, tramite il suo avvocato, è ricorsa in Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello che ha confermato la condanna applicata dal GIP, per il delitto di peculato (art. 314, c.p.), per aver omesso di riversare al Comune di quella città, nella sua qualità di legale rappresentante di una società esercente attività alberghiera, le somme riscosse dai clienti a titolo di “imposta di soggiorno”, da gennaio a giugno del 2013. 
La difesa dell’imprenditore ricorrente articola con due motivi di censura il ricorso in Cassazione.
Con il primo, lamenta l’errata interpretazione dell’art. 54, c.p., da parte del giudice del gravame, il quale non ha ritenuto integrata tale fattispecie scriminante, pur in presenza di una situazione di grave crisi di liquidità finanziaria, quale quella in cui versava la società rappresentata dall’imputata, reputando altresì sfornita di adeguata dimostrazione la relativa allegazione, benché suffragata da ampia documentazione.
Con il secondo motivo, contesta l’attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio all’esercente attività alberghiera, in relazione alla riscossione della c.d. “imposta di soggiorno”.
Natura del tributo e soggetti passivi
L’art. 4D.Lgs. n. 23 del 2011, che ha introdotto l’imposta di soggiorno, attribuisce la possibilità di istituire il tributo ai seguenti soggetti: Comuni capoluogo di provincia; unioni di Comuni; Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte.
L’istituzione dell’imposta di soggiorno deve avvenire con deliberazione del Consiglio comunale e con lo stesso atto deve essere adottato anche il relativo regolamento. Nel caso di adozione a livello di Unione, pur non essendo espressamente prevista la traslazione dei poteri regolamentari ai relativi organi, va rilevato che la previsione normativa classifica esplicitamente l’Unione come soggetto attivo, trovando un logico presupposto nell’opportunità di determinare il prelievo in un contesto di area più vasta, nonché nell’economia di scala ottenibile sotto il profilo della gestione, che l’Unione è in grado di garantire rispetto all’agire del singolo Comune, specie se di piccole dimensioni
L’imposta di soggiorno ha le caratteristiche di un tributo di scopo ancorato ad un particolare tipo di consumo turistico, i pernottamenti in strutture ricettive site nel territorio comunale. Il gettito è, infatti , obbligatoriamente da destinare al finanziamento di un’ampia serie di “interventi” connessi al turismo: “interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive”, “di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali” (D.Lgs. n. 23 del 2011art. 4, comma 1). Lo stesso procedimento di deliberazione viene condizionato dalla legge alla consultazione delle “associazioni maggiormente rappresentative dei titolari delle strutture ricettive”.
Il citato art. 4 individua i soggetti passivi dell’imposta in coloro “che alloggiano nelle strutture ricettive del Comune”. Dal disposto normativo si ricava che il soggetto passivo non può che essere la persona fisica che alloggia nella struttura. Seppur non chiaramente esplicitato dalla norma, può inoltre ritenersi naturalmente escluso dalla soggettività passiva il residente del Comune impositore. Ciò in quanto il suo ipotetico alloggio nella struttura ricettiva ubicata nel territorio del Comune di propria residenza anagrafica, non può raffigurarsi come espressione di un flusso turistico.
Il comma 5-ter, dell’art. 4, della Manovra Correttiva 2017, veicolata nel D.L. n. 50 del 2017, introduce una novità essenziale nella disciplina dell’imposta di soggiorno, individuando nel “soggetto che incassa il canone o il corrispettivo, ovvero che interviene nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi” il responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno o del contributo di soggiorno di Roma capitale.
La sentenza della Cassazione
Per la Corte di Cassazione entrambi i motivi di ricorso, per un verso, sono generici, poiché replicano le censure avanzata davanti al giudice d’appello, senza confrontarsi con le ragioni poste da quest’ultimo a fondamento del rigetto di esse; e, per l’altro, sono privi di giuridico fondamento.
I giudici di legittimità con riferimento all’invocato riconoscimento della scriminante dello stato di necessità, di cui all’art. 54, c.p., hanno osservato che correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che tale esimente postuli il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, così che essa non può applicarsi ai reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora a questo possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti.
Del resto, tale lettura normativa trae ulteriore conferma dalla giurisprudenza di legittimità formatasi nelle materie degli obblighi previdenziali e dell’imposizione tributaria diretta, che disciplinano condotte del tutto analoghe, sotto il profilo in esame, a quella oggetto di giudizio.
E’ indiscusso, infatti, che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sia integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare.
Così, pure, nell’ipotesi di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bisD.Lgs. n. 74 del 2000), la colpevolezza del sostituto d’imposta non si ritiene esclusa dalla crisi di liquidità intervenuta al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all’esercizio precedente, a meno che l’imputato non dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale.
Per la Cassazione può essere, altresì, utile ricordare come, nel tracciare la linea di demarcazione tra “stato di necessità”, inteso come «quello tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta», e “stato di bisogno”, rilevante in tema di usura e rappresentato da «un impellente assillo, che, limitando la volontà del soggetto, induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie», la giurisprudenza di legittimità abbia ricondotto a tal ultima situazione, e non alla prima, le difficoltà economiche connesse alla attività professionale o imprenditoriale.
Nel caso in esame, la ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui la situazione di grave difficoltà economica sia stata «prospettata in termini generici e sfornita di adeguata allegazione», assumendo di aver prodotto le sentenze di fallimento e «corposa documentazione attestante le difficoltà aziendali».
Tuttavia, essa non allega né indica specificamente in ricorso tale documentazione, e neppure specifica natura e consistenza delle rappresentate “difficoltà”. Ma, soprattutto, non c’è il benché minimo cenno alla obiettiva impossibilità di ovviare altrimenti alla carenza di liquidità, mediante, ad esempio, il ricorso al prestito bancario o la alienazione di eventuali cespiti patrimoniali di proprietà.
Per i giudici di legittimità non c’è spazio alcuno, pertanto, per ipotizzare la fattispecie scriminante di cui al citato art. 54 c.p.: la decisione impugnata, sul punto, dev’essere perciò confermata.

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