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Urbanistica. Nozione di costruzione
Pubblicato: 02 Dicembre 2019

Nella figura giuridica di “costruzione” rientrano tutti quei manufatti che, comportando una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, modificano lo stato dei luoghi, in quanto, difettando obiettivamente del carattere di assoluta precarietà, sono destinati almeno potenzialmente a perdurare nel tempo, non avendo peraltro alcun rilievo a riguardo la distinzione tra opere murarie e di altro genere, né il mezzo tecnico con cui sia assicurata la stabilità del manufatto al suolo (o al muro perimetrale di quello esistente), in quanto la stabilità non va confusa con l’irrevocabilità della struttura, o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata dal costruttore, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare un bisogno non temporaneo

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’11 dicembre 2018 la Corte di Appello di Salerno ha confermato la sentenza dell’11 aprile 2016 del Tribunale di Salerno, in forza della quale Gerardo Amoddio, nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. Holbek Italiana, era stato condannato alla pena, sospesa, di giorni venticinque di arresto ed euro settemila di ammenda per i reati di cui agli artt. 81 capoverso cod. pen., 44 lett. b), 64 e 71, 65 e 72, 93 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, attesa l’abusiva realizzazione in zona industriale di Battipaglia di tre gazebo di dimensioni in pianta di metri 4,80 per metri 4,80, di cui era altresì ordinata la demolizione.  

2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione con cinque motivi di impugnazione, cui ha fatto seguito la formulazione di due motivi aggiunti.

2.1. Con i primi due motivi, trattati unitariamente, il ricorrente ha dedotto violazione di legge quanto alla sussistenza degli elementi tipici del reato di abuso edilizio, nonché vizio motivazionale.

In particolare, quanto alla ritenuta destinazione a permanenza stabile e a radicale trasformazione del territorio, il ricorrente ha rilevato che il legislatore, col n. 17 della sezione II della tabella A allegata al d.lgs. 222 del 2016, aveva previsto che la necessità di autorizzazione si concretizzava solamente ai fini della realizzazione di pertinenze di consistenza volumetrica superiore al 20% rispetto all’edificio principale, come statuito anche dall’art. 3, comma 3 lett. e6 del d.P.R. 380.

In specie il gazebo, aperto su tutti i lati ed appoggiato su ruote, non produceva volumetria, e non rientrava quindi tra gli interventi assoggettati a permesso di costruire. L’intervento, a termini dell’art. 6-bis del d.P.R. 380, era quindi assoggettato solamente a c.i.l.a., ed in tal senso il ricorrente aveva inteso procedere, trattandosi di tre gazebo aperti, facilmente smontabili ovvero suscettibili di amozione e recupero con semplice e non distruttivo smontaggio, e mobili in quanto provvisti di ruote.

La struttura doveva in ogni caso rientrare nell’ipotesi di cui all’art. 3, lett. e-quinquies del d.P.R. 380, non sussistendo alcuna trasformazione urbanistica atteso l’insussistente incremento di volumetria. L’abuso in questione, in definitiva, consisteva nella apposizione di un gazebo mobile, di soli ventidue metri quadrati, al servizio dell’attività commerciale svolta nell’edificio principale.

In relazione poi all’affermazione della Corte territoriale in ordine alla riprova del carattere non precario del manufatto, essa era illogica, in quanto un conto era affermare che l’opera rientrava per le sue caratteristiche nell’edilizia libera, altra cosa era sostenere che il carattere temporaneo dell’opera era messo in discussione dalla comunicazione dell’imputato volta a renderla illimitata nel tempo.

2.2. Col terzo e quarto motivo, sempre deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, è stata lamentata l’avvenuta decisione resa sull’istanza formulata a norma dell’art. 131-bis cod. pen., laddove la Corte territoriale aveva ritenuto l’abitualità della condotta nell’installazione di altri due gazebo analoghi a quelli per i quali era giudizio, mentre a proposito di questi ulteriori manufatti non vi era stata alcuna declaratoria di illegittimità.

2.3. Col quinto motivo, deducendo violazione di legge, doveva considerarsi in ogni caso la scusabilità dell’errore attese le incertezze interpretative, ed invero alcun provvedimento repressivo era pervenuto dall’Autorità amministrativa.

2.4. Con i motivi aggiunti è stata allegata pronuncia del Tribunale amministrativo campano sezione di Salerno che, in forza della natura smontabile ed amovibile dei gazebo, aveva sancito l’intrinseca illegittimità della sanzione demolitrice, sì che l’opera rientrava nell’edilizia libera senza necessità di permesso di costruire.

3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è complessivamente infondato.

4.1. Per quanto concerne i primi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente stante la manifesta connessione delle ragioni di impugnazione, è stato già osservato da questa Corte che, al fine di farle rientrare nella nozione di edilizia libera, di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, è necessario che le opere di cui si tratta non solo siano comunque realizzate in conformità con i vigenti strumenti urbanistici (cfr., infatti, l’art. 6 del d.P.R. n. 380 cit. in principio), ma è anche necessario che esse consistano in sole opere destinate a soddisfare esigenze temporanee e contingenti e suscettibili di essere rimosse al cessare della necessità che le ha determinate (così, in motivazione, ad es. Sez. 3, n. 27528 del 08/03/2019, Serio, non mass.; cfr. anche, in tema di affermata precarietà del manufatto, Sez. 3, n. 36107 del 30/06/2016, Arrigoni e altro, Rv. 267759).

Secondo il reiterato rilievo del ricorrente, pertanto, i tre gazebo (con una base quadrata di 4,8 metri di lato, per oltre 23 metri quadrati di superficie ciascuno, e quindi estesi di per sé per quasi 70 metri quadrati) costituirebbero un mero arredo esterno, di riparo e protezione, riconducibile agli interventi manutentivi non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.P.R. 380 del 2001 (ciò che sarebbe stato attestato, trattandosi di opera riconducibile al genus delle tettoie o gazebo, dal d.m. 2 marzo 2018 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione). La disposizione richiamata – che tra le attività di edilizia libera non assoggettate ad alcun titolo abilitativo, contempla appunto «gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici» (art. 6, comma 1, lett. e-quinquies, d.P.R. 380 cit.) – deve essere tuttavia coordinata con il principio contenuto nel precedente art. 3, comma 1, lett. e.1), sicché essa non si riferisce a strutture che ampliano il preesistente edificio, ma, come la descrizione della fattispecie peraltro precisa, a manufatti separati, realizzati a servizio dello stesso nelle aree pertinenziali. E proprio a questi si riferisce il c.d. “glossario” delle opere libere contenuto nel d.m. 2 marzo 2018 richiamato in ricorso, che riconduce a tale categoria il gazebo ed il pergolato, purché il manufatto sia «di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo» (così, Sez. 3, n. 54692 del 02/10/2018, Barletta, Rv. 274210).

Oltre a ciò, ed alla realizzazione in aree pertinenziali di edifici, vi è necessità, proprio ai fini del richiamato coordinamento rispetto ai principi generali di cui all’art. 3 cit., che i manufatti non siano riconducibili a nessuna delle tipologie rientranti nella definizione di “nuova costruzione” di cui all’art. 3 comma 1 lett. e) D.P.R. 380/2001 (e quindi non comportino, qualora si tratti di manufatti prefabbricati e strutture di qualsiasi genere, un utilizzo riconducibile a quelli citati alla lettera e.5 dell’art. 3 comma 1).

4.1.1. Tra gli interventi di nuova costruzione invero indicati dall’art. 3, alla lettera e5 sono appunto elencati “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”.

Questa Corte ha così già osservato che è chiara la finalità della norma, di considerare interventi di nuova costruzione, quindi soggetti a permesso di costruire, tutte le strutture, di qualsiasi genere, tra le quali sono comprese quelle elencate a titolo di esempio, che siano destinate ad una stabile utilizzazione, non meramente transitoria.

L’esplicita menzione di detta tipologia di interventi ha così codificato la figura giuridica di “costruzione”, nella quale rientrano tutti quei manufatti che, comportando una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, modificano lo stato dei luoghi, in quanto, difettando obiettivamente del carattere di assoluta precarietà, sono destinati almeno potenzialmente a perdurare nel tempo, non avendo peraltro alcun rilievo a riguardo la distinzione tra opere murarie e di altro genere, né il mezzo tecnico con cui sia assicurata la stabilità del manufatto al suolo (o al muro perimetrale di quello esistente), in quanto la stabilità non va confusa con l’irrevocabilità della struttura, o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata dal costruttore, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare un bisogno non temporaneo (ex plurimis, Sez. 3, n. 9138 del 07/07/2000, Migliorini ed altro, Rv. 217217).

Né risulta determinante l’incorporazione nel suolo indispensabile per identificare il bene immobile, essendo sufficiente la destinazione del bene ad essere utilizzato come bene immobile.

D’altronde anche per la giurisprudenza amministrativa i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo (in specie in quanto stagionale, così Cons. Stato Sez. VI n. 2842 del 03/06/2014).

In definitiva quindi la precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo (cfr., complessivamente in motivazione, Sez. 3, n. 24149 del 29/03/2019, Campiglia, non mass.).

4.1.2. In specie, alcuna temporaneità è stata invero data, e neppure è stato evidenziato un uso realmente precario per fini specifici. Né, per quanto detto, può rilevare l’eventuale facile amovibilità della struttura, mai per vero rimossa nel corso degli anni.

Alcuna illogicità va pertanto ravvisata nella motivazione complessivamente resa dai Giudici del merito, laddove il ricorrente ha sostanzialmente sempre insistito proprio sulla tipologia della struttura, e non sulla sua destinazione.

4.2. In relazione poi al mancato riconoscimento della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., correttamente il provvedimento impugnato non ne ha ravvisato i presupposti.

In proposito, infatti, il giudizio negativo della Corte territoriale è stato legato alla reiterazione della condotta. In ogni caso, peraltro, in tema di “particolare tenuità del fatto” la motivazione può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice d’appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275635). Ed in specie il trattamento sanzionatorio non è stato fissato nel minimo edittale, ancorché non particolarmente distante da tale soglia, e l’ulteriore riduzione è stata appunto negata in espressa considerazione della consistenza degli abusi, all’evidenza ritenuti certamente non tali da rientrare nel perimetro della particolare tenuità.

Non si ravvisano pertanto al riguardo vizi di sorta nel provvedimento impugnato.

4.3. In relazione al quinto motivo di censura, esso è stato proposto solamente in questa sede di legittimità.

In ogni caso, la giurisprudenza di questa Corte non ha mai oscillato nell’affermare i principi applicati, a nulla pertanto rilevando comunque la decisione del Tribunale amministrativo campano, evocata nei motivi aggiunti al presente ricorso, in cui tra l’altro i Giudici amministrativi appaiono riferirsi al solo aspetto della facile amovibilità delle strutture, di per sé certamente non esaustivo ai fini di giudizio.

5. L’impugnazione pertanto non è fondata sotto alcun profilo. Ne consegue il rigetto del ricorso.

Il ricorrente va quindi infine condannato altresì al pagamento delle spese processuali.  

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 12/07/2019

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