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Mano pesante della Corte dei conti per i furbetti del cartellino

di Amedeo Di Filippo – Dirigente comunale

Il D.Lgs. n. 165 del 2001 contiene disposizioni organiche in tema di responsabilità disciplinari dei dipendenti pubblici, che delineano in maniera oggettiva i casi e i percorsi per giungere al licenziamento. L’art. 55-quater, che tratta proprio del licenziamento disciplinare, elenca i casi in cui si applica questa tipologia di sanzione, primo tra i quali la falsa attestazione della presenza in servizio mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente.

Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio, secondo il comma 1-bis, qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta.

In questi casi il licenziamento è senza preavviso. Qualora la falsa attestazione sia accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, si ha l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all’assegno alimentare, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato.

Col provvedimento di sospensione cautelare si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell’addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all’ufficio per i procedimenti disciplinari. Consegue la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla procura regionale della Corte dei conti, la quale emette invito a dedurre per danno d’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento ed esercita l’azione di responsabilità.

Il licenziamento e la denuncia all’autorità giudiziaria sono previsti anche per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto e abbiano omesso di attivare il procedimento disciplinare e di adottare il provvedimento di sospensione cautelare, senza giustificato motivo.

L’art. 55-quinquies poi ha introdotto regole specifiche per il lavoratore che attesti falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifichi l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia, punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.

Il lavoratore è inoltre obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno d’immagine.

Regole, queste, che sono state riprese e integrate dai CCNL giunti alla sottoscrizione definitiva i quali, trattando del Codice disciplinare, prevedono il licenziamento e contemplano casi in cui è applicabile la sanzione della sospensione dal servizio, correlata alla durata dell’assenza o dell’abbandono del servizio, al disservizio determinatosi, alla gravità della violazione dei doveri del dipendente, agli eventuali danni causati all’amministrazione, agli utenti o ai terzi.

De iure condendo, il DDL “concretezza” approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 settembre contiene all’art. 2 nuove misure per il contrasto all’assenteismo specificamente finalizzate alla verifica dell’osservanza dell’orario di lavoro, tramite l’introduzione di “sistemi di identificazione biometrica e di videosorveglianza in sostituzione dei diversi sistemi di rilevazione automatica, attualmente in uso”.

Viene inoltre imposto ai dirigenti di adeguare la propria prestazione lavorativa nella sede di lavoro alle esigenze dell’organizzazione e dell’incarico dirigenziale svolto, nonché a quelle connesse con la corretta gestione e il necessario coordinamento delle risorse umane.

La giurisprudenza recente

E’ stato rilevato che l’art. 55-quater ha introdotto fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo, aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva, le cui clausole, ove difformi, ai sensi dell’art. 55, comma 1, sono sostituite di diritto ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c. (Cass. civ., Sez. Lavoro, 1 dicembre 2016, n. 24574).

Deve però escludersi la configurabilità di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di tali sanzioni, in quanto deve sempre rispettarsi la proporzionalità rispetto ai fatti commessi, con conseguente possibilità per il giudice di annullamento della sanzione eccessiva (Cass. civ., 23 agosto 2016, n. 17259Cass. civ., 26 gennaio 2016, n. 1351Cass. civ., 25 agosto 2016, n. 17335).

In merito alla falsa attestazione della presenza in servizio, la registrazione effettuata attraverso l’utilizzo del sistema di rilevazione è corretta e non falsa solo se nell’intervallo compreso tra le timbrature in entrata e uscita il lavoratore è effettivamente presente in ufficio, mentre è falsa e fraudolentemente attestata nei casi in cui miri a far emergere, in contrasto col vero, che il lavoratore è presente in ufficio dal momento della timbratura in entrata a quello della timbratura in uscita (Cass. civ., 14 dicembre 2016, n. 25750).

Tra le ultime pronunce la sentenza 11 settembre 2018, n. 22075 con cui la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha confermato che rientra tra le ipotesi di assenza ingiustificata di cui all’art. 55-quater, non solo il caso dell’alterazione del sistema di rilevamento delle presenze, ma anche l’allontanamento del lavoratore nel periodo intermedio tra le timbrature di entrata ed uscita, trattandosi di un comportamento fraudolento diretto a fare emergere falsamente la presenza in ufficio.

Ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione (art. 55-bis, comma 4), in conformità con il principio del giusto procedimento, assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione.

La Corte dei conti

Evocata dalla legge, attuale e in fieri, la magistratura contabile ha detto la sua in materia di falsa attestazione della presenza in servizio, emanando una sentenza utile a chiarire la relazione tra infrazione/reato e danno erariale.

Si tratta della sentenza 6 settembre 2018, n. 110, emanata dalla sezione giurisdizionale per l’Abruzzo della Corte dei conti, che ha giudicato un dipendente che aveva alterato gli orari di ingresso ed uscita risultanti dall’orologio marcatempo, lucrando così indebitamente non soltanto della retribuzione delle ore e delle giornate attestate falsamente, ma anche del valore dei buoni pasto indebitamente percepiti per effetto del maggior numero di ore lavorative registrate a seguito dell’alterazione stessa.

I giudici ritengono fondata l’azione di responsabilità, sussistendone tutti gli elementi costitutivi: il dipendente era in rapporto di servizio con una pubblica amministrazione; non sono contestate le indebite manipolazioni della rilevazione delle presenze orarie; la natura dolosa delle manipolazioni, derivante dalla reiterazione delle stesse “con premeditata e pressoché quotidiana regolarità, a suo personale vantaggio e in danno dell’amministrazione di appartenenza”; il nesso di causalità, insito nella diretta consequenzialità tra le alterazioni delle presenze registrate dal sistema e l’effettuazione di una prestazione lavorativa oraria sistematicamente inferiore rispetto a quella dovuta o comunque rispetto a quella artificiosamente fatta risultare nel sistema di rilevazione delle presenze.

Appurata la responsabilità, la Corte calcola il danno, costituito dalle seguenti voci:

– l’inutile pagamento della retribuzione a fronte di prestazioni lavorative non rese dall’interessato e falsamente attestate;

– la fruizione di buoni pasto, pur in mancanza dei requisiti contrattuali previsti;

– la necessità di dedicare risorse umane alla individuazione ed elaborazione delle alterazioni perpetrate dal dipendente, che integra un danno da “disservizio” sul quale non è lecito invocare la corresponsabilità dell’amministrazione, alla quale non può addebitarsi alcun concorso di colpa nella sua qualità di vittima del reato.

La sezione comunque riconosce una limitata riduzione dell’addebito, in relazione ai vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione per le ore di servizio effettivamente prestate dal dipendente e per le giornate per le quali consta solo l’entrata o solo l’uscita ma non la correlata uscita o entrata, non potendosi quindi ricostruire con certezza l’effettivo orario di lavoro osservato.

Corte dei conti-Abruzzo, Sez. giurisdiz., 6 settembre 2018, n. 110

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