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Le retribuzioni versate a seguito della sentenza ma riformate in sede di appello vanno restituite dal dipendente al netto degli oneri riflessi ed IRAP

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
Due dipendenti ricevevano dall’ente pubblico consistenti importi dovuti alle differenze retributive pagate a causa della vittoria della causa stabilita con sentenza del giudice del lavoro di prima istanza. La sentenza, tuttavia, veniva riformata dalla Corte di Appello e successivamente confermata dalla Cassazione con obbligo dei dipendenti di restituire le somme indebitamente percepite su sentenza non definitiva. A seguito del decreto ingiuntivo emesso dall’ente pubblico ai due dipendenti, il Tribunale di primo grado ordinava la restituzione delle somme dovute al lordo di contributi previdenziali e ritenute fiscali, mentre la Corte di Appello in parziale riforma della sentenza dichiarava infondata la pretesa dell’ente di ottenere la restituzione delle somme versate all’Erario, quale sostituto d’imposta, incontestato in giudizio che il datore di lavoro avesse operato le prescritte trattenute fiscali sulle somme corrisposte in esecuzione della sentenza provvisoriamente esecutiva. Avverso la sentenza ricorre l’ente pubblico in Cassazione stigmatizzando l’erroneità della sentenza impugnata che aveva escluso, dall’obbligo di restituzione, gli importi versati all’erario dal datore di lavoro come sostituto d’imposta, precisando come la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere i lavoratori sostituiti i soggetti legittimati a richiedere la restituzione, quindi gli attuali intimati che ben possono agire nei confronti dell’amministrazione finanziaria sulla base della decurtazione avvenuta in busta paga.
La conferma della Cassazione
La Cassazione conferma la statuizione disposta dalla Corte di Appello della restituzione al netto e non al lordo degli oneri previdenziali e fiscali, per giurisprudenza ormai consolidata sia dal giudice di legittimità che dal Consiglio di Stato. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità (tra le tante Cass. 16 gennaio 2019, n. 990) in tema di rimborso delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973art. 38, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute, e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. “sostituto di imposta”) sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”). In tale contesto è evidente anche che il datore di lavoro non possa pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali, allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (tra le tante Cass. 2 febbraio 2012, n. 1464, per il lavoro privato, e Cons. di Stato, Sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1164 per il rapporto di pubblico impiego). In altri termini, le ritenute fiscali, sulle quali invero si svolge l’illustrazione del mezzo d’impugnazione senza cenno alcuno ai contributi previdenziali ed assistenziali, non siano state versate direttamente ai lavoratori, per cui il datore di lavoro, a prescindere da ogni altra considerazione, non avrebbe potuto ripeterli nei confronti dei dipendenti perché appunto da questi non percepiti. Le disposizioni legislative (art. 38D.P.R. n. 602 del 1973), infatti, prevedono che “Il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare all’intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede il concessionario presso la quale è stato eseguito il versamento, istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento». «L’istanza di cui al comma 1, può essere presentata anche dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata». Risulta chiaro come dalla norma richiamata spetti in via principale al soggetto che ha effettuato il versamento presentare istanza di rimborso e non solo in caso di errore materiale, ma anche di duplicazione od inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento. Pertanto, il datore di lavoro salvi i rapporti col fisco, può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo, restando esclusa la possibilità di chiedere la restituzione di somme al lordo delle ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.
Conclusioni
Nella conferma della sentenza della Corte di Appello, quindi, la Cassazione ha precisato come sia evidente che solvens non può ripetere dal lavoratore accipiens più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito, e cioè quanto versato, sia pure in esecuzione di sentenza provvisoriamente esecutiva, suscettibile di riforma o cassazione nell’ambito degli ordinari mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento, ad un terzo (ente fiscale). In definitiva, il giudice di secondo grado si è conformato al principio per cui l’Amministrazione, nel procedere al recupero delle somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, deve eseguire detto recupero al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali e non può invece pretendere di ripetere le somme al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali) allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.

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