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Obbligo di applicare la normativa anticorruzione per la società a partecipazione pubblica maggioritaria. Salvo dimostrazione contraria
V. Giannotti, G. Popolla (La Gazzetta degli Enti Locali 4/11/2019)
In considerazione della discordanza delle posizioni assunte dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti, in sede di controllo e giurisdizionale, l’Autorità Anticorruzione definisce, con la deliberazione n. 859/2019, il perimetro di applicazione della normativa anticorruzione e della trasparenza alle società partecipate da più amministrazioni pubbliche, utilizzando una posizione mediana. Sono, pertanto, soggette a controllo dell’Autorità le società partecipate da più amministrazioni pubbliche qualora possiedano un capitale sociale maggioritario (tesi delle Sezioni Riunite in sede di controllo), salvo la dimostrazione da parte della società sia dell’assenza del coordinamento formalizzato tra i soci pubblici, desumibile da norme di legge, statutarie o da patti parasociali, sia dell’influenza dominante del socio privato, ove presente nella compagine societaria (tesi delle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale e del Consiglio di Stato).
 
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Deliberazione A.N.AC. 25/9/2019 n. 859
Configurabilità del controllo pubblico congiunto in società partecipate da una pluralità di pubbliche amministrazioni ai fini dell’avvio del procedimento di vigilanza per l’applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza di cui alla legge 190/2012 e al d.lgs. 33/2013
Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione

 

Visto l’art. 1, co. 2-bis della legge 6 novembre 2012, n. 190 «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione», concernente l’ambito di applicazione delle misure di prevenzione della corruzione;

Visto l’art. 2-bis, co. 2 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 «Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni» e successive integrazioni e modificazioni, relativo all’ambito di applicazione delle misure di trasparenza, con riguardo alle società a controllo pubblico;

Visto l’art. 1 del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190»;

Visto il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 «Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica» (TUSP) e in particolare l’art. 2, co. 1, lett. b) ed m), recanti le definizioni di «controllo» e di «società a controllo pubblico»;

Vista la delibera ANAC 8 novembre 2017, n. 1134 recante «Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici»;

Visto l’orientamento del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) del 15 febbraio 2018 avente ad oggetto la nozione di società a controllo pubblico di cui all’art. 2, co. 1, lett. m) del d.lgs. 175/2016, adottato in relazione ai compiti di monitoraggio, indirizzo e coordinamento sulle società a partecipazione pubblica attribuiti al medesimo Ministero dall’art. 15 del richiamato d.lgs. 175/2016;

Considerato in fatto

A seguito della revisione ad opera del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 delle disposizioni contenute nella l. 190/2012 e nel d.lgs. 33/2013, l’Autorità ha fornito prime indicazioni sull’ambito soggettivo di applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, successivamente dettagliate, per le società e gli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e per gli enti pubblici economici, nella delibera n. 1134/2017.

Nella delibera richiamata l’Autorità si è soffermata sull’individuazione delle società a controllo pubblico ai sensi del TUSP, cui l’art. 2-bis, co. 2, lett. b) del d.lgs. 33/2013 espressamente rinvia, per la definizione di società a controllo pubblico ai fini dell’applicazione degli obblighi di trasparenza previsti dallo stesso decreto.

L’Autorità ha chiarito, altresì, che «Rientrano fra le società a controllo pubblico anche quelle a controllo congiunto, ossia le società in cui il controllo ai sensi dell’art. 2359 del codice civile è esercitato da una pluralità di amministrazioni».

Stantele indicazioni fornite nella delibera, l’Autorità ha comunque rilevato, sia in sede consultiva che di vigilanza, problematiche attuative con riguardo alla nozione di società a controllo pubblico congiunto. L’Autorità ritiene, pertanto, per agevolare le amministrazioni e le società, di dover svolgere ulteriori considerazioni ai soli fini dell’attuazione della normativa sulla prevenzione della corruzione e trasparenza.

Ritenuto in diritto

La classificazione delle società a controllo pubblico, nei casi di partecipazione plurima di pubbliche amministrazioni (di seguito “controllo pubblico congiunto”), presenta profili di particolare complessità interpretativa, viste anche le posizioni non univoche sul tema espresse dal MEF e dalla giurisprudenza amministrativa e contabile.

La questione del controllo pubblico congiunto nelle società pluripartecipate continua, infatti, a registrare interventi giurisprudenziali che evidenziano le criticità connesse alla valutazione, spesso complessa, degli elementi caratterizzanti il controllo esercitabile dalle pubbliche amministrazioni.

Si ricorda che, per l’applicazione della normativa sulla trasparenza e sulla prevenzione della corruzione, il legislatore ha fatto espresso rinvio alla nozione di società a controllo pubblico prevista all’art. 2, co. 1, lett. m) del d.lgs. 175/2016 (cfr. art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. 33/2013 e art. 1, co. 2-bis, della l. 190/2012).

In particolare, sono definite “società a controllo pubblico” “le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)”. La lettera b) definisce “controllo” “la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

Prima di riportare le diverse posizioni espresse sul controllo pubblico congiunto, occorre evidenziare che la ratio della normativa sulla trasparenza e sulla prevenzione della corruzione va ricercata nell’esigenza di assicurare il buon andamento di attività che riguardano la gestione dei servizi pubblici, l’esercizio di funzioni e di attività volte al perseguimento di interessi pubblici e nel corretto utilizzo delle risorse pubbliche.

Si riportano di seguito i principali orientamenti emersi attualmente con riguardo alla individuazione delle situazioni di controllo pubblico congiunto in una società.

Secondo un primo indirizzo, espresso dal MEF e da alcune Sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, per qualificare una società a controllo pubblico congiunto, in assenza di patti parasociali o altri atti negoziali, è sufficiente la verifica di comportamenti concludenti dei soci pubblici.

Il MEF, con l’orientamento del 15 febbraio 2018, ha precisato che la lettura combinata delle lettere m) e b) del co.1 dell’art. 2 del d.lgs. 175/ 2016 induce a ritenere che il legislatore del TUSP abbia voluto ampliare la fattispecie del “controllo”, prevedendo che il controllo di cui all’art. 2359 del codice civile possa essere esercitato da più amministrazioni congiuntamente pur in assenza di un vincolo legale, contrattuale, statutario o parasociale tra le stesse.

In coerenza con la ratio della riforma volta all’utilizzo ottimale delle risorse pubbliche e al contenimento della spesa, ad avviso del MEF il controllo della pubblica amministrazione è configurabile anche quando le ipotesi in cui le fattispecie descritte all’art. 2359 c.c. si riferiscono a più pubbliche amministrazioni, le quali esercitano il controllo congiuntamente e mediante comportamenti concludenti, a prescindere dall’esistenza di un coordinamento formalizzato.

Tale posizione è stata ribadita dal MEF nel Rapporto sugli esiti della revisione straordinaria delle partecipazioni pubbliche (pubblicato sul sito istituzionale del Ministero nel maggio 2019), in cui si esclude che da una partecipazione maggioritaria al capitale sociale da parte di più pubbliche amministrazioni possa automaticamente inferirsi la natura di “società a controllo pubblico” che richiede, al contrario, la verifica dell’effettivo esercizio, da parte dei soci pubblici, del controllo sulla società.

Per realizzarsi la fattispecie del controllo pubblico congiunto, pertanto, è necessario che i soci pubblici siano in grado, anche tramite comportamenti concludenti, di approvare le delibere dell’assemblea della società e, in particolare, quella di nomina e revoca dei componenti del suo organo di gestione, sì da poterne influenzare in maniera determinante l’operato.

L’orientamento del MEF appare condiviso anche da una parte della giurisprudenza della Corte dei conti, che, nel caso di società con capitale prevalentemente pubblico, ha rilevato come «l’ipotesi di controllo di cui all’art. 2359 del codice civile possa ricorrere anche quando le fattispecie considerate dalla norma si riferiscano a più pubbliche amministrazioni, le quali esercitino tale controllo congiuntamente mediante comportamenti concludenti, a prescindere dall’esistenza di un coordinamento formalizzato».

In tali ipotesi, ha peraltro osservato la Corte dei Conti, è necessario che i soggetti pubblici adottino le iniziative più adeguate «allo scopo di rendere coerente la situazione giuridica formale con quella desumibile dai comportamenti concludenti posti in essere ovvero, in mancanza di tali comportamenti, allo scopo di valorizzare pienamente la prevalente partecipazione pubblica in essere» in un’ottica di tutela delle risorse pubbliche investite (Corte dei conti, Sez. reg. Emilia Romagna, Del. n. 61/2018/VSGO; n. 36/2018/VSGO).

Un’altra opzione interpretativa tende a far leva sulla maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria, pur non escludendo l’obbligo per gli enti pubblici di adottare modalità di coordinamento per esercitare il controllo. Con delibera n. 11 del 20 giugno 2019 le Sezioni riunite della Corte dei Conti in sede di controllo, pronunciandosi per un orientamento generale richiesto dalla Sezione regionale per l’Umbria (delibera n. 57/2019/PAR), hanno esaminato la questione di massima “se le società a maggioranza pubblica, partecipate da più enti ciascuno dei quali intestatario di quote inferiori al 50 per cento, siano da considerare o meno come società controllate dai soci pubblici”.

Le Sezioni riunite, richiamate le diverse posizioni espresse dalle Sezioni regionali, dalla Sezione delle autonomie, nonché dai giudici amministrativi, hanno ritenuto che, in virtù del combinato disposto delle lett. b) ed m) dell’art. 2 del TUSP, il controllo sussista ove ricorra una delle situazioni descritte all’art. 2359, n. 1, 2 e 3, cod. civ. La prima fattispecie è integrata, oggettivamente, dalla disponibilità della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, la seconda e la terza devono essere provate, alla luce delle circostanze del caso concreto.

Vi è poi l’ulteriore ipotesi di controllo pubblico che sussiste nei casi in cui patti parasociali o clausole statutarie o norme di legge prevedano il consenso unanime delle pubbliche amministrazioni per il controllo strategico sulla gestione della società.

Possono pertanto essere qualificate come «società a controllo pubblico», quelle in cui una o più amministrazioni dispongono della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria (oppure di voti o rapporti contrattuali sufficienti a configurare un’influenza dominante)”. Tale criterio di individuazione, ad avviso delle Sezioni riunite, ammette un’eccezione e deve essere rivisto solo “quando, in virtù della presenza di patti parasociali (art. 2314-bis cod. civ.), di specifiche clausole statutarie o contrattuali…risulti provato che, pur a fronte della detenzione della maggioranza delle quote societarie da parte di uno o più enti pubblici, sussista un’influenza dominante del socio privato o di più soci privati…”.

Le considerazioni svolte nella citata delibera n. 11/2019 hanno avuto riguardo anche ad aspetti collegati alla qualificazione di società a controllo pubblico, al fine di ribadire gli obblighi posti in capo agli enti pubblici, che detengono la maggioranza o l’intero capitale della società, di attuare e formalizzare misure e strumenti coordinati di controllo idonei ad esercitare un’influenza dominante sulla società.

In relazione alla questione di massima sottoposta, le Sezioni riunite ritengono dunque che “sia sufficiente, ai fini dell’integrazione della fattispecie delle “società a controllo pubblico”, rilevante quale ambito di applicazione, soggettivo o oggettivo, di alcune disposizioni del d.lgs. n. 175 del 2016, che una o più amministrazioni pubbliche dispongano, in assemblea ordinaria, dei voti previsti dall’art. 2359 cod. civ. “

In base ad un altro orientamento, invece, prospettato dal Consiglio di Stato e dalla stessa Corte dei Conti, in sede giurisdizionale, per configurare il controllo sulle decisioni strategiche riguardanti l’attività della società partecipata è necessaria la formalizzazione del coordinamento fra le pubbliche amministrazioni attraverso patti parasociali o altri strumenti negoziali.

Il Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 23 gennaio 2019, n. 578, con riferimento all’ipotesi di una partecipazione pubblica di maggioranza pulviscolare, per cui nessuno degli enti locali partecipanti deteneva quote superiori al 2,74%, ha rilevato che la particolare modestia della partecipazione al capitale è in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di effettivamente incidere sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa. Per assicurare il controllo pubblico sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società partecipata è necessaria la presenza di “strumenti negoziali – ad es. patti parasociali – che possano dar modo alle amministrazioni pubbliche di coordinare e dunque rinforzare la loro azione collettiva”.

Il Collegio ha osservato, poi, che dal contenuto delle delibere degli enti locali partecipanti al capitale societario «sembra esservi stata di fatto una forma di coordinamento tra le amministrazioni pubbliche che detengono partecipazioni nel capitale» sociale. Si tratta, tuttavia, di un coordinamento non istituzionalizzato. Ad avviso del Collegio, una partecipazione pulviscolare priva di adeguati strumenti di coordinamento con le partecipazioni di altri soggetti pubblici non consente o mette in discussione il raggiungimento dello scopo assegnato dalla legge alle amministrazioni pubbliche (ovvero l’acquisizione o il mantenimento di partecipazioni in società di capitali per lo svolgimento di un servizio valutato come necessario a soddisfare i bisogni della collettività).

Analogamente, la Corte dei Conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, nelle sentenze n. 16 del 22 maggio 2019 e n. 25 del 29 luglio 2019, ha ritenuto che nelle società pluripartecipate da enti pubblici, “l’accertamento della sussistenza dello status di “società a controllo pubblico” … richieda una precipua attività istruttoria volta a verificare se, nel caso concreto, sussistano le condizioni previste all’art. 2, lett. b) del TUSP … In altre parole ,.. assume rilievo decisivo lo scrutinio delle disposizioni statutarie e dei patti parasociali per verificare in che termini le amministrazioni pubbliche …sono in grado di influire sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale”. Da ciò consegue che, affinché sia configurabile una siffatta influenza pubblica, il socio privato non può concorrere in modo determinante alla governance della società.

Dalla lettura delle disposizioni del TUSP, in particolare dell’art. 2, lett. m) e b), ha precisato la Corte dei Conti, si evince che per le società a controllo pubblico “il richiamo alla situazione descritta all’art. 2359 c. c. non può che essere letto … negli stessi termini in cui è inteso nel codice civile, ovvero con riferimento all’esistenza di un soggetto (una società) o un gruppo organizzato in grado di manifestare una volontà unitaria idonea a esercitare un dominio effettivo sulla governance societaria.” Si presuppone dunque un centro, anche plurimo, ma organizzato quale soggetto unitario, in modo da poter imprimere un’unità di indirizzo strategico al soggetto partecipato.

Le definizioni del TUSP ammettono dunque “la possibilità che una pluralità di pubbliche amministrazioni (ai sensi dell’art. 2, lett. m), detentrici di un capitale azionario frammentato inidoneo a configurare la “situazione” di cui all’art. 2359 cit., da “moltitudine” diventi “una”, in grado di influire sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale”.

In conclusione, anche in presenza di una partecipazione maggioritaria di più amministrazioni, «la situazione di controllo pubblico non può essere presunta in presenza di “comportamenti univoci o concludenti” ma deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie e da patti parasociali che, richiedendo il consenso unanime di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti, siano in grado di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società».

Preliminarmente, alla luce dei diversi indirizzi interpretativi esistenti, l’Autorità auspica un intervento urgente del legislatore allo scopo di chiarire i presupposti dell’esistenza del controllo pubblico in presenza di una pluralità di pubbliche amministrazioni che detengono quote del capitale sociale, nessuna delle quali in grado di esercitare un controllo individuale, rimuovendo così le criticità riscontrate che non giovano ad una coerente e uniforme applicazione sia della normativa del TUSP sia della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza.

Per quanto concerne i profili di interesse dell’Autorità, fermi restando gli orientamenti della giurisprudenza contabile e amministrativa, si pone la necessità di valutare nel concreto quando sia configurabile il controllo pubblico congiunto, al fine di capire se una società debba o meno adottare misure di prevenzione della corruzione e trasparenza. In disparte la sicura configurabilità del controllo pubblico, anche congiunto, nelle società in house, su cui l’Autorità si è espressa nella delibera n. 1134/2017.

Giova sottolineare che alcune disposizioni della legge 190/2012 e dei decreti attuativi, nel riferirsi a società ed enti di diritto privato utilizzano criteri diversi per l’individuazione del controllo pubblico, attribuendo rilievo a elementi sintomatici del coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni.

Si tratta di criteri ulteriori e specifici rispetto anche alla stessa partecipazione azionaria al capitale sociale. Può citarsi, ad esempio, l’art. 22 del d.lgs. 33/2013, che nel prevedere l’obbligo per le amministrazioni di pubblicare l’elenco degli enti di diritto privato in controllo pubblico, individua tali enti in quelli costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni le quali abbiano un potere di nomina dei vertici o dei componenti degli organi, anche in assenza di una partecipazione azionaria.

In modo analogo, l’art. 1, c. 2, lett. c), del d.lgs. 39/2013 specifica che fra gli enti di diritto privato in controllo pubblico sono ricompresi non solo gli enti e le società che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell’articolo 2359 c.c. da parte di pubbliche amministrazioni, ma anche gli enti nei quali siano riconosciuti alle stesse poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi, anche in assenza di una partecipazione azionaria.

Da ciò si evince che occorre prestare particolare attenzione alla ratio della normativa di prevenzione della corruzione che attiene, come sopra detto, all’esercizio imparziale di funzioni e di attività volte al perseguimento di interessi pubblici, all’esigenza di assicurare il buon andamento di attività inerenti la gestione di servizi pubblici e al corretto utilizzo delle risorse pubbliche.

Tenuto conto di quanto sopra, della delicatezza del tema, nonché delle perduranti incertezze interpretative e della complessità dell’analisi che l’esame delle specifiche fattispecie spesso comporta e in attesa dell’auspicato intervento normativo, l’Autorità ritiene opportuno chiarire come intende procedere nella propria attività di vigilanza per la trattazione dei singoli casi in cui rilevi la qualificazione di una società a controllo pubblico congiunto.

In particolare, l’Autorità, laddove non emerga chiaramente la qualificazione della società, che possa essere desunta anche da pronunce giurisprudenziali, ritiene di considerare la partecipazione pubblica maggioritaria al capitale sociale quale indice presuntivo della situazione di controllo pubblico.

Tale circostanza costituisce il presupposto per un eventuale avvio di procedimenti di vigilanza.

Spetterà alla società interessata, che intenda rappresentare la non configurabilità del controllo pubblico, dimostrare l’assenza di un coordinamento formalizzato tra i soci pubblici e l’influenza dominante del socio privato.

Nel corso del procedimento può quindi aprirsi una fase istruttoria per la verifica della situazione di controllo in cui la società è tenuta a provare l’assenza di forme di coordinamento tra le pubbliche amministrazioni desumibili da norme di legge, statutarie o da patti parasociali ovvero l’influenza dominante del socio privato.

Tale posizione appare, allo stato, maggiormente aderente alla formulazione letterale delle definizioni di cui all’art. 2, lett. b) e m) del TUSP e coerente con il concetto di “controllo” ex art. 2359 del codice civile, come evidenziato dalla giurisprudenza contabile e amministrativa.

Ove la partecipazione pubblica al capitale sociale non sia in misura maggioritaria e vi siano dubbi sulla qualificazione della società, l’Autorità può comunque chiedere alla società ogni informazione utile per lo svolgimento dell’attività di vigilanza, al fine di accertare la configurabilità delle ulteriori ipotesi di influenza pubblica dominante, in conformità alle disposizioni civilistiche e del TUSP.

Rimangono comunque ferme le disposizioni contenute nell’art. 1 del d.lgs. 39/2013 per l’individuazione degli enti di diritto privato in controllo pubblico, ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi.

Tutto ciò premesso e considerato

Delibera
  • Ai fini dello svolgimento delle proprie attività di vigilanza nei confronti di società partecipate da più amministrazioni, l’Autorità considera la partecipazione pubblica maggioritaria al capitale sociale quale indice presuntivo della situazione di controllo pubblico, con la conseguente applicabilità delle norme previste per le società a controllo pubblico nella l. 190/2012 e nel d.lgs. 33/2013.
La società interessata che intenda rappresentare la non configurabilità del controllo pubblico è tenuta a dimostrare l’assenza del coordinamento formalizzato tra i soci pubblici, desumibile da norme di legge, statutarie o da patti parasociali, ovvero l’influenza dominante del socio privato, ove presente nella compagine societaria.

 

  • Restano ferme le definizioni contenute nell’art. 1 del d.lgs. 39/2013 per l’individuazione degli enti di diritto privato in controllo pubblico, ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi.
Il presente provvedimento è pubblicato sul sito istituzionale dell’Autorità.
Il Presidente

Raffaele Cantone

Depositato presso la Segreteria del Consiglio il 3 ottobre 2019                     
Il Segretario Maria Esposito
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