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E’ l’illegittima la gara d’appalto per forniture a prezzo simbolico o nullo

di Domenico Irollo – Commercialista/revisore contabile/pubblicista

Il potere discrezionale della P.A. di definire l’importo a base d’asta non è libero ed assoluto ma può essere censurato se e nella misura in cui venga dimostrata la sua macroscopicità al ribasso rispetto ai prezzi di mercato e quindi la sua natura arbitraria perché manifestamente sproporzionato, con conseguente alterazione della concorrenza. Date queste premesse il TAR di Reggio Calabria, con la sentenza n. 418 del 2018 in commento, ha invalidato la procedura negoziata indetta dal principale presidio ospedaliero reggino per la fornitura triennale di complessivi 6mila litri di latte sostitutivo di quello materno a fronte di una cifra totale a base di gara di soli 120 euro + IVA, inferiore di 250 volte rispetto al prezzo al dettaglio di questo prodotto.
Non è passato molto tempo da quando il Consiglio di Stato (cfr. la sentenza Cons. di Stato, Sez. V, 3 ottobre 2017, n. 4614), riformando la contraria pronuncia dello stesso TAR Calabria, sede di Catanzaro (cfr. la sentenza del T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 13 dicembre 2016, n. 2435), aveva sancito la legittimità di una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento a titolo gratuito di un incarico di servizi professionali (nella fattispecie si trattava della redazione del piano strutturale del Comune di Catanzaro), che il G.A. calabrese torna dunque a esprimere il proprio dissenso rispetto agli appalti che prevedono prezzi a base d’asta “simbolici” se non addirittura “nulli”.
Il Consiglio di Stato, sulla scia di conforme parere della Corte dei Conti (cfr. la deliberazione della Corte dei Conti-Calabria, Sez. contr., 10 febbraio 2016, n. 6), aveva a suo tempo valorizzato l’argomentazione per cui se è vero che per definizione [art. 3, lett. ii), D.Lgs. n. 50 del 2016] gli “appalti pubblici” sono “contratti a titolo oneroso”, è altresì vero che quest’ultima espressione, nell’ordinamento dei contratti pubblici, assume un’accezione ampia e particolare (rispetto al diritto comune), tale da dare spazio all’ammissibilità di un bando che preveda le offerte gratuite, ogniqualvolta dall’effettuazione della prestazione contrattuale il contraente si prefiguri di trarre un’utilità economica lecita e autonoma, quand’anche non corrispostagli come scambio contrattuale dall’Amministrazione appaltante. Nello specifico l’utilità per il professionista poteva in quel caso essere immateriale ed in particolare poteva essere rappresentata dal potenziale ritorno per la di lui immagine, fattore che costituisce di per sé un interesse economico, seppure mediato, in grado di superare il divieto di non onerosità dell’appalto pubblico, atteso che, in ultima analisi, all’aspirante contraente viene chiesto di prescindere non già da un’utilità economica, ma solo da un’utilità finanziaria.
Una argomentazione questa che per il TAR Calabria, se non può essere scartata a priori per gli appalti pubblici di servizi o per quelli di lavori (anche alla luce del disposto dell’art. 20 del vigente Codice dei contratti pubblici che disciplina l’ipotesi di opera pubblica realizzata a spese del privato), è per converso insostenibile per gli appalti di forniture, dal momento che in tale ultima evenienza l’eventuale gratuità della causa può essere dedotta e valorizzata dalle Amministrazioni aggiudicatrici solo qualora venga ricondotta ai “tipi” contrattuali espressamente previsti dall’ordinamento (leggi: contratto di sponsorizzazione ex art. 19D.Lgs. n. 50 del 2016) e ciò al fine di scongiurare scelte non del tutto trasparenti che finiscano per tramutare affidamenti formalmente onerosi in affidamenti sostanzialmente gratuiti e quindi sine causa.
Diversamente, principi cardine come quelli codificati dall’art. 30 del Codice dei contratti pubblici, secondo cui le Stazioni appaltanti debbono garantire la qualità delle prestazioni nel rispetto, tra gli altri, degli obblighi in materia sociale e del lavoro, non solo nella fase della scelta del contraente (presidiata dal disposto dell’art. 97 in tema di esclusione delle offerte anormalmente basse), ma anche nella fase di predisposizione dei parametri di gara, comportano che le stesse Stazioni appaltanti debbano verificare attentamente la congruità economica della richiesta di approvvigionamento del prodotto da rivolgere al mercato che non deve provocare la presentazione di offerte anomale a causa di prezzi posti a base di gara già di per sé anomali.
A margine si segnala che in conformità a principi ormai in via di consolidamento anche per effetto di recente pronunciamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (si veda la sentenza 26 aprile 2018, n. 4, in merito alla quale si rinvia al commento dello scrivente La Plenaria delude le attese: ribadito il no alla giustiziabilità immediata delle clausole “non escludenti” ), il G.A. nel caso di specie ha reputato ammissibile il gravame benché il ricorrente non avesse presentato domanda di partecipazione alla procedura negoziata poiché la clausola contestata recava condizioni negoziali che configuravano il rapporto contrattuale in termini di eccessiva onerosità e obiettiva non convenienza e dunque era classificabile tra quelle “autonomamente lesive” per le quali vale la deroga al principio generale in base al quale le clausole del bando che si assumono illegittime devono invece essere di regola impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere gravate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura.

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