Intervento per precisare la storia dell’associazione Lasec

Intervento per precisare la storia dell’associazione Lasec

Cari colleghi,

 intervengo per ristabilire un po’ di verità, per il rispetto che si deve a chi, con me, ha cercato di mettere in luce gli aspetti deteriori di una riforma che ci toccava tutti. Spero che quanto dirò possa servire a chi adesso ha comunque l’onere di rappresentare la categoria. Una categoria di persone capaci e preparate che ha avuto la sventura di trovarsi a stretto contatto con la classe politica un un periodo di estrema difficoltà.

Ho rappresentato e rappresento la Lasec, nata fin dall’aprile 1997, quando era necessario cercare di arginare la deriva che le nuove norme della riforma Bassanini avrebbero causato alla categoria, cioè a lavoratori pubblici, trattati spesso senza il riconoscimento dei più elementari diritti.

Visto che si parla di storia, allora facciamola: in poco tempo, con gli amici dell’Ansal e con le organizzazioni CGIL, CISL, UIL, abbiamo adottato una strategia comune ed ottenuto la nomina di rappresentanti (uno su tre) nell’Agenzia Nazionale ed in quelle regionali; in alternativa alle nomine di colleghi dell’Unione, pur da sempre attivi ad ogni livello e soprattutto a livello centrale.

Pur non riconoscendo idonea la soluzione, sia organizzativa che normativa, proposta dalla riforma Bassanini, in quella fase abbiamo ritenuto comunque preferibile essere presenti in funzione sia di controllo che di aiuto, per quanto possibile, ai tanti colleghi in difficoltà. E questo è stato fatto, fra mille problemi.

In linea con le decisioni prese, la Lasec ha fatto il possibile per intervenire nei momenti più difficili della vita di tanti, come meglio si poteva, in un ambiente molto ostile (ricordo brevemente, fra le tante iniziative, il ricorso contro la norma regolamentare che pretendeva di inserire vice-segretari senza laurea in posti di ruolo, la dichiarazione di illegittimità della definizione a priori del numero degli idonei da riconoscere nei concorsi, la pretesa vessatoria di abusare dei colleghi in disponibilità togliendo loro diritti che mai sarebbero stati toccati ai segretari assegnatari di sede, ed altro).

Nella smania di adesione alla riforma che permeava molti all’epoca (per tutto, valga l’esempio di aver chiesto ai colleghi di scioperare PER la riforma, proposta a cui per altro aderimmo nella vana speranza che questo portasse ad un serio, pubblico e costruttivo dibattito sul futuro della categoria, dibattito che NON C’E MAI STATO, e mai ci sarà), nella migliore delle ipotesi venivamo additati come persone fuori dal tempo e dalla storia, attaccati a visioni vecchie e sorpassate della Pubblica Amministrazione. Ma, di fatto, non sembra poi che il “nuovo” abbia prodotto grossi risultati,  e, a conti fatti, invece, abbia causato grandi danni alla Pubblica Amministrazione in termini di sprechi, corruzione, illegalità diffusa; cosa a noi ben visibile fin dal primo avviarsi della riforma, e che avevamo puntualmente denunciato. Denunciato pagando spesso anche di persona: per questo, pretendo rispetto per chi ha fondato l’associazione su basi legate a motivazioni di interesse pubblico, e che ora non c’è più, nel silenzio e nell’indifferenza generale.

Vedo tuttavia che a noi si riconosce, comunque, un posto “nella storia”, sia pure fallimentare. Mi dispiace deludere qualcuno, ma devo dire che il fallimento sta unicamente in chi, pur disponendo di numero di adesioni maggiori rispetto a quella della coalizione CGIL, CISL-Lasec e UIL-Ansal, con visione miope e spesso compiacente, ha davvero portato al fallimento della categoria, scesa in poco tempo da 7000 a 3000 unità, ed ora addirittura minacciata di eliminazione. Fallimento certamente dovuto alla rinuncia preventiva (e temo concordata) ad una posizione di dignità che avrebbe dovuto portare in primis al rifiuto immediato di ogni forma di asservimento, quale di fatto era, che si chiamasse o meno con termini più concilianti.

Una seria preoccupazione verso la sorte della categoria avrebbe dovuto spingere ad una unione delle  varie sigle sindacali, ad una concorde azione fra colleghi di fasce differenti, al riconoscimento delle pesanti problematiche che riguardavano determinate zone territoriali, e quindi, in sostanza, ad una azione unitaria, come sempre noi abbiamo cercato di fare senza mai interrompere  il dialogo con l’Unione Segretari; e ne sono prova gli interventi unitari a favore della categoria da me personalmente curati con l’assenso di tutti. E sarebbe stato necessario evitare di porre, con la scuola, ostacoli alla condizione personale e professionale dei colleghi, già gravati dal pesantissimo onere di andarsi a cercare, in solitudine, un posto di lavoro, spendendosi personalmente forse con argomenti non sempre di stretta professionalità, pur essendo già ampiamente qualificati fin dall’ingresso in carriera. 

Di fatto, creando un percorso “ad ostacoli”, si è rinunciato a quella unitarietà della categoria che costituiva motivo di vanto per tutti noi, sia dei piccoli comuni che dei qualificati colleghi delle fasce alte, con cui, senza alcuna difficoltà, si collaborava molto spesso. Come tutti abbiamo sempre riconosciuto, nel mestiere del segretario, superate le difficili prove di ingresso, sono  l’esperienza e la vita “sul campo”, legate al trascorrere del tempo ed alla complessità degli enti, a fare la qualità della persona, ed un tempo erano quindi i titoli individuali a garantire la progressione in carriera.

Molto spesso, invece, oggi, si è accettata la logica di chi ha preferito selezionare con criteri “meta-professionali”, di chi ha privilegiato la divisione per “imperare”, di chi ha sponsorizzato logiche di cooptazione molto lontane da quelle solidaristiche che ci guidavano. Prima della riforma, l’unione fra colleghi in ogni territorio, l’aiuto ed anche, a volte, le sostituzioni reciproche, la naturale accettazione dei consigli dei segretari con maggiore esperienza, prevalevano naturalmente su ogni ipotesi di rampantismo, ora tanto dilagante, anche se forse solo dovuto a necessità di sopravvivenza.

Concludendo, noi Lasec non ci riconosciamo alcun fallimento; se mai bisognerebbe riflettere su fallimenti di chi in partenza ha accettato logiche che hanno snaturato l’essenza stessa della categoria ed hanno inevitabilmente portato all’esaurimento della stessa, per una mancanza di coesione ora forse inevitabile nella difficile situazione che i colleghi vivono.

In questa complessa situazione, pur avendo apprezzato a sua tempo un intervento, fra i pochi che ho ascoltato, del collega dell’Unione che ora vuole giudicare con tanta superficialità il nostro passato, intervento che ho apprezzato per la sua capacità di  analisi concreta dei dati reali e per le proposte fatte, devo affermare che, nella situazione attuale, per una credibile difesa dei colleghi,  è necessario fare una precisa scelta di campo ed evitare ogni possibile ambiguità.

 Maria De Zio

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