22/07/2016 – Nessun vizio nel procedimento disciplinare espulsivo in caso di mancata audizione del dipendente in caso di ammissione scritta degli addebiti

Nessun vizio nel procedimento disciplinare espulsivo in caso di mancata audizione del dipendente in caso di ammissione scritta degli addebiti
di Vincenzo Giannotti – Dirigente del Settore Gestione Risorse (Umane e Finanziarie) del Comune di Frosinone

 

Il fatto

Una dipendente comunale, a seguito di verifica da parte della Tesoreria, era stata scoperta nell’aver incremento illegittimamente il proprio stipendio, unitamente a quello di altre due persone, e la stessa aveva ammesso le sue responsabilità innanzi al Commissariato di P.S., mediante proprie dichiarazioni spontanee. L’ufficio dei procedimenti disciplinari aveva prima proceduto a sospendere la citata dipendente dal servizio, precisando gli addebiti al lei ascritti e successivamente inviato la lettera di licenziamento. Avverso tale licenziamento sia il Tribunale di prime cure che la Corte territoriale respingevano il ricorso della dipendente. Avverso la sentenza della Corte di appello ricorreva in Cassazione la dipendente, affidando essenzialmente le sue difese sulla violazione del procedimento disciplinare per non essere la stessa stata ascoltata né convocata in audizione, nonostante tale garanzia di difesa sia espressamente prevista dalla legge e dal contratto.

Le motivazioni della Suprema Corte

Evidenziano gli Ermellini come la prima lettera di contestazione alla dipendente contenesse la sospensione dal servizio e successivamente, il responsabile dell’Ufficio dei Procedimenti Disciplinari, dopo dodici giorni inviava la lettera formale di licenziamento. Va precisato come tra la prima e la seconda lettera, la dipendente scriveva specifica missiva al Sindaco ammettendo pienamente le proprie responsabilità. Tale è la ricostruzione operata dalla Corte di Appello, la quale negava nella fattispecie, sia una mancanza di elementi idonei a comprendere gli addebiti a lei mossi dall’Amministrazione, sia una violazione del diritto di difesa della dipendente, in quanto:

– Con la prima lettera di contestazione venivano evidenziati tutti gli elementi utili della contestazione disciplinare espulsiva per i fatti addebitati;

– Dopo dieci giorni la stessa dipendente inviava lettera al Sindaco con la quale ammetteva pienamente la propria responsabilità contenute nella lettera di contestazione;

– Dopo due giorni le veniva inviata la lettera definitiva di licenziamento.

Da quanto sopra esposto la Corte territoriale rilevava come le garanzie di difesa erano state pienamente rispettate, in quanto l’assunzione della piena responsabilità dell’accaduto, senza alcuna riserva, resa mediante un documento scritto (mai contestato in giudizio) costituiva una circostanza di fatto che consentiva di ritenere superfluo procedere ad una successiva audizione dell’interessata, che non l’aveva richiesta e che mai aveva contestato, neppure in sede giudiziale, il contenuto di tale dichiarazione.

Così ricostruita la fase procedimentale, la stessa appare idonea a superare le eccezioni sollevate dalla convenuta. In particolare evidenziano i giudici di Palazzo Cavour come il procedimento disciplinare sia suddiviso nelle seguenti quattro fasi: 1°) la convocazione del lavoratore per il contraddittorio a sua difesa; 2°) la facoltà del lavoratore di farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato; 3°) l’osservanza del termine dilatorio di almeno dieci giorni tra la contestazione e la data fissata per la convocazione; 4°) la facoltà, per il dipendente, che non intenda presentarsi per il contraddittorio orale, di inviare, entro il termine fissato per la convocazione, una memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l’esercizio della sua difesa. La 1° e la 3° fase sono di competenza dell’amministrazione, la prima preordinata all’audizione del lavoratore e la terza per concedergli un termine ragionevole per ponderare i fatti contestati. La 2° e la 4° fase rappresentano per il lavoratore delle mere facoltà, le quali gli permettono di farsi assistere nella propria difesa orale da un procuratore, ovvero di rinunciare alla difesa orale ed inviare una propria memoria scritta.

Rilevano gli Ermellini come sia stato oggettivamente accertato che l’Ufficio dei procedimenti Disciplinari abbia omesso la prima fase, tuttavia, a prescindere dalle evidenziabili responsabilità dell’organo titolare del procedimento per non avere adempiuto un suo preciso dovere inerente alle funzioni che era chiamato a svolgere in sede di procedimento disciplinare, la lavoratrice si è avvalsa nei fatti, della seconda delle facoltà previste in suo favore dalla norma di legge, rinunciando alla difesa orale in favore di quella scritta. Ella ha così esercitato il suo diritto di difesa, avvalendosi della forma alternativa contemplata dall’art. 55-bis, introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009, ed ha esercitato tale facoltà trascorso comunque un lasso di tempo congruo (dieci giorni) dalla contestazione dell’addebito, idoneo a garantirle una adeguata ponderazione dei propri interessi. Inoltre, la stessa lavoratrice non ha mai revocato in dubbio i contenuti della dichiarazione scritta spontaneamente resa o i tempi e le modalità in cui ciò avvenne. La dipendente chiarì i motivi personali che l’avevano indotta a commettere i gravi illeciti, ammettendo le proprie responsabilità, senza formulare alcuna istanza per l’integrazione della proprie difese. Deve quindi ritenersi che la stessa, seppure non convocata formalmente, abbia nei fatti compiutamente esercitato i propri diritti difensivi, senza formulare riserve di sorta e dimostrando di aver ben compreso tutti i fatti che le erano stati ascritti. D’altra parte, in tema di procedimento disciplinare, il lavoratore è libero di discolparsi nelle forme da lui prescelte, oralmente o per iscritto, con l’assistenza o meno di un rappresentante sindacale (cfr. tra le altre, Cass. Civ. n. 12978 del 2011) e le discolpe fornite dall’incolpato per iscritto consumano il suo diritto di difesa quando dalla dichiarazione scritta emerga la rinuncia ad essere sentito oralmente o una (chiesta in tal senso appaia, sulla base delle circostanze del caso, ambigua o priva di univocità (cfr. Cass. Civ. n. 5864 del 2010).

In conclusione la Corte Suprema conferma il licenziamento della dipendente e, in ragione della sua soccombenza anche al pagamento delle spese di giudizio.

Cass. Civ., Sez. Lavoro, 11 luglio 2016, n. 14106

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