20/11/2017 – Nulla osta per la mobilità è atto del privato datore di lavoro. Estromessi gli organi di governo

Nulla osta per la mobilità è atto del privato datore di lavoro. Estromessi gli organi di governo

 
 
Il passaggio diretto tra dipendenti delle amministrazioni pubbliche continua ad avere aspetti poco chiari o, quanto meno, ad incontrare dubbi operativi molte volte discendendo da abitudini e consuetudini che finiscono per opporsi alle indicazioni del legislatore, per altro non sempre troppo chiare.

Una delle questioni di maggiore preoccupazione per gli operatori riguarda la competenza ad esprimere l’assenso al trasferimento del dipendente la cui domanda verso un altro ente sia stata accolta. Assenso che viene denominato spesso “nulla osta”.
Un’interpretazione molto seguita propende per considerare competente al rilascio del nulla osta, sia del personale del comparto, sia dei dirigenti, la giunta comunale.
Detta chiave di lettura si fonda su due elementi. Un primo è di natura letterale e discende dall’articolo 4, comma 1, del d.l. 90/2014 convertito con modificazioni dalla legge 114/2014, che ha modificato i commi 1 e 2 dell’articolo 30 del dlgs 165/2001, riscrivendo in particolare il comma 1 come segue: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell’amministrazione di appartenenza”.
Tale argomentazione ritiene di ricondurre il nulla osta alla giunta, perché la norma parla specificamente della “amministrazione” e per tale deve intendersi, dunque, l’apparato di governo che la rappresenta.
In secondo luogo, comunque, la giunta attraverso il regolamento per l’ordinamento degli uffici e dei servizi può determinare le competenze sul piano organizzativo e, quindi, indicare a chi spetta esprimere il nulla osta. In assenza di questa precisazione, di spettanza comunque della giunta, spetta sempre a questa esercitare la propria competenza “generale e residuale”, nel caso di specie comprovata dalla circostanza che è la giunta competente ad approvare ed a modificare la dotazione organica e la determinazione del fabbisogno del personale.
Entrambe le motivazioni alla base della teoria secondo la quale il nulla osta sia qualificabile come atto di competenza della giunta sono da rigettare.
La prima non ha all’evidenza alcuna pregnanza giuridica e pratica. La norma dell’articolo 30, comma 1, del d.lgs 165/2001 si riferisce in generale non all’organo dell’amministrazione di appartenenza, bensì all’amministrazione nel suo complesso. Il legislatore non ha ovviamente lo spazio né il tempo per indicare nella legge quali siano, ente per ente, gli organi da considerare competenti all’espressione del nulla osta: è chiaro che sono gli specifici ordinamenti di ciascun ente ad orientare in tal senso. Il riferimento all’amministrazione di appartenenza non vale certo a considerare l’atto come appartenente all’amministrazione intesa quale vertice politico, in quanto ha il semplice scopo di condizionare per legge l’efficacia del trasferimento all’atto di assenso del datore di lavoro col quale il dipendente partecipante alla procedura di mobilità conduce attualmente il rapporto di lavoro, qualunque sia l’organo che, poi, concretamente esprima validamente l’assenso.
Dimostrato che l’interpretazione letterale non ha alcun rilievo, altrettanto è possibile in riferimento alla presunta esplicazione della competenza generale e residuale della giunta.
Qui occorre essere chiari. La competenza generale e residuale della giunta non può essere considerata senza limiti, perché è lo stesso d.lgs 267/2000 a limitarla fortemente, all’articolo 48, comma 2, ai sensi del quale “La giunta compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell’articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia o degli organi di decentramento; collabora con il sindaco e con il presidente della provincia nell’attuazione degli indirizzi generali del consiglio; riferisce annualmente al consiglio sulla propria attività e svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso”.
Dunque, le competenze della giunta sono compresse:
  1. da un lato, dalle competenze gestionali degli organi del vertice amministrativo, dirigenti o responsabili di servizio;
  2. dall’altro lato dalle competenze di sindaco e consiglio.
Dunque, l’ambito delle competenze della giunta (nel caso delle province, le funzioni della giunta sono riunite in capo al presidente) è molto più ristretto di quanto non appaia.
Ora, le funzioni di sindaco e consiglio sono sostanzialmente tassative e non contemplano l’espressione del nulla osta per la mobilità. Pertanto è da verificare se la giunta riscontri la propria incompetenza sul tema nell’esame delle competenze spettanti ai vertici amministrativi.
L’articolo 107, commi 1 e 2, del d.lgs sullo specifico punto non fornisce un chiarimento evidente, anche se in realtà le sue disposizioni sono di per sé già esaustive. I due commi dispongono:
1. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico- amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.
2. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108”.
E’ il secondo comma la chiave corretta: dirigenti e responsabili di servizio adottano tutti gli atti e provvedimenti che non rientrano nelle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo.
Dunque, per asserire con fondatezza che il nulla osta sia di competenza della giunta, occorre dimostrare che tale atto di assenso rientri nelle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo.
Per tale dimostrazione osservare che è la giunta competente ad approvare la dotazione organica, le sue variazioni ed il piano dei fabbisogni non è sufficiente.
In realtà occorre sottolineare come la giunta, a differenza del passato, abbia perso la competenza sia a decidere la dotazione organica, sia a programmare i fabbisogni. A seguito del d.lgs 118/2011 e della novellazione dell’articolo 6 del d.lgs 165/2001 ad opera del d.lgs 75/2017, la dotazione è solo una conseguenza della programmazione dei fabbisogni, la quale va con ogni evidenza espressa mediante il Dup, rispetto al quale la giunta ha solo una funzione di proposta, mentre è il consiglio ad approvarlo. Sicché già solo per questo la tesi della competenza della giunta perde totalmente le proprie basi. Chi volesse considerare il nulla osta come atto d’esercizio della funzione di programmazione politico-amministrativa dovrebbe rassegnarsi ad individuare nel consiglio e non nella giunta l’organo di governo competente, se volesse considerare la simmetria tra il blocco programmazione-dotazione e nulla osta come prova della competenza dell’organo politico.
Non si deve dimenticare, tuttavia, che la programmazione e l’indirizzo politico amministrativo consistono in atti di natura generale, di estensione temporale pluriennale e di carattere strategico o normativo. Ecco perché il consiglio adotta regolamenti, bilanci, programmi urbanistici, mentre sul piano organizzativo la giunta regolamenta le attività degli uffici e dei servizi e la gestione annuale mediante il Peg. Si tratta di atti, tutti, finalizzati ad indicare obiettivi generali e strumenti per raggiungerli, in maniera più o meno dettagliata a seconda che dai programmi si passi ai progetti; ma sono atti, tutti, privi del dettaglio, della scelta operativa necessaria per la loro attuazione, la quale spetta, come spiega l’articolo 107, commi 1 e 2, del d.lgs 267/2000 all’apparato amministrativo.
Non v’è il minimo dubbio che, in tema di costituzione e cessazione del rapporto di lavoro:
  1. l’assunzione sia un atto gestionale e datoriale, susseguente:
    1. ad un atto di programmazione;
    2. all’esperimento di una mobilità obbligatoria (articolo 34-bis d.lgs 165/2001), che se non va a buon fine porta
    3. all’esperimento di una mobilità volontaria (articolo 30 del d.lgs 165/2001), che se non va a buon fine porta
    4. all’utilizzazione di una graduatoria vigente propria o di una graduatoria di un altro ente, che se non va a buon fine porta
    5. all’espletamento di un concorso;
  2. la cessazione del rapporto di lavoro conseguente a:
    1. dimissioni;
    2. pensionamento;
    3. mobilità in uscita.
Non si capisce perché tutti questi atti, concernenti l’acquisizione di un dipendente siano considerati senza alcun dubbio gestionali; quelle per la cessazione del rapporto di lavoro come espressione diretta del potere negoziale del lavoratore o frutto della legge (pensionamento), mentre la sola mobilità in uscita dovrebbe rientrare nelle competenze degli organi politici, sulla base di una presunta accessorietà rispetto alla programmazione del personale.
Se così fosse, allora, anche le dimissioni volontarie dovrebbero essere condizionate all’accettazione dell’organo di governo, perché incidono sull’assetto organizzativo e la provvista del personale. Ma, le dimissioni sono un atto unilaterale e recettizio del lavoratore, non soggetto ad accettazione alcuna, perché si tratta di una risoluzione di un rapporto contrattuale di carattere personale, sicché il legislatore appresta una tutela particolare alla parte debole, il lavoratore, che non può certo essere costretto a restare a lavorare per un datore, laddove in totale libertà ed autonomia abbia ritenuto di non potere o volere proseguire con esso la conduzione del rapporto.
Nel caso della mobilità, poiché essa non è un diritto soggettivo, occorre, invece, l’espressione del consenso dell’amministrazione di appartenenza.
Per giungere alla dimostrazione definitiva che tale consenso non viene sicuramente espresso dalla giunta e nemmeno dal consiglio, occorre risalire alle regole generali che disciplinano i rapporti tra organi politici ed apparato amministrativo, le quali non risiedono solo nel d.lgs 267/2000, ma stanno nel d.lgs 165/2001 e, precisamente, negli articoli 4 e 5.
Il comma 1 dell’articolo 4 dispone: “Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:
a) le decisioni in materia di atti normativi e l’adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;
b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l’azione amministrativa e per la gestione;
c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-fmanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale;
d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;
e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;
f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;
g) gli altri atti indicati dal presente decreto”.
Acclarato che tra gli “altri atti” indicati dal d.lgs 165/2001 non v’è il nulla osta, si riscontra che la funzione di programmazione è generale e non contempla atti puntuali, come appunto un assenso alla mobilità. Tuttavia, si potrebbe sostenere che quanto evidenziato sopra in grassetto possa tuttavia fondare una competenza in tema, sempre sul presupposto dell’accessorietà del nulla osta all’individuazione e destinazione delle risorse umane agli uffici.
Tuttavia, il comma 2 dell’articolo 4 precisa: “Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati”.
I vertici amministrativi, ricevuti gli indirizzi e gli obiettivi da conseguire, organizzano, tra le altre, le risorse umane, rispondendo in via esclusiva dei risultati. Si svela con ogni evidenza che se un dirigente o responsabile di servizio ritenga, nella sua autonomia, che l’organizzazione dei servizi possa rivelarsi altrettanto efficace anche facendo a meno di una risorsa umana lasciandola andare in mobilità, può organizzare le altre risorse allo scopo, trattandosi di un’organizzazione che sta a valle della programmazione. Ed anzi, poiché una mobilità in uscita riduce costo del lavoro e ore lavorative, a parità di risultati garantiti, aumenta perfino l’efficienza.
In ogni caso, l’articolo 5 svela definitivamente la questione. Il comma 2 di detto articolo dispone: “Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’articolo 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, nel rispetto del principio di pari opportunità, e in particolare la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatte salve la sola informazione ai sindacati ovvero le ulteriori forme di partecipazione, ove previsti nei contratti di cui all’articolo 9”.
Il mistero è risolto. Una volta che il fabbisogno del personale sia stato determinato (ed è chiaro, anche se le successive riforme hanno cancellato la previsione un tempo esplicita, che l’organo di governo lo determina su proposta dei vertici dell’apparato tecnico-amministrativo), poi:
– organizzazione delle risorse, compreso il personale;
– concreta gestione dei rapporti di lavoro
sono competenza esclusiva dei dirigenti o responsabili di servizio.
L’aggettivo “esclusivo” non lascia alcun dubbio: esclude che, oltre a dirigenti o responsabili di servizio, nessun altro soggetto, non il sindaco, non la giunta, non il consiglio, non i sindacati, possano non solo adottare l’atto, ma nemmeno frapporsi per esprimere indirizzi, pareri, concerti.
Perchè il nulla osta è l’espressione di un assenso ad una modifica di un contratto di lavoro, quale espressione piena e chiarissima della potestà datoriale, che la legge assegna in via esclusiva a dirigenti e responsabili di servizio.
Il percorso, dunque, operativo nel rapporto tra programmazione dei fabbisogni e mobilità è dunque, semplice:
  1. l’organo di governo, su proposta dei vertici tecnico-amministrativi determina i fabbisogni e programma le assunzioni da effettuare, nel rispetto della programmazione e dei vincoli finanziari;
  2. annualmente, sulla base della dotazione di fatto, assegna a dirigenti o responsabili di servizio, con gli obiettivi le risorse considerate congrue per ottenerli, compreso il personale;
  3. con l’esercizio concreto della gestione, il dirigente o responsabile di servizio valuta se le risorse siano realmente sufficienti o anche, eventualmente ridondanti, potendo e dovendo assicurare economie di gestione (per altro, dovrebbero essere oggetto di premi di produttività) e recuperi di efficienza; dunque è perfettamente possibile che una risorsa patrimoniale, finanziaria o anche un dipendente siano meno utilizzati, se si dimostra che l’obiettivo sia perseguibile senza l’impiego di quella risorsa;
  4. il dirigente, pertanto, sulla base di valutazioni che ricadono nella sua esclusiva valutazione e nella sua totale responsabilità, può e deve esprimersi in merito all’opportunità di fare a meno di un dipendente, autorizzandone la mobilità;
  5. una volta andato in mobilità, l’organo di governo recupera il suo ruolo, decidendo se le risorse liberate, in termini di spazi per acquisire nuovo personale sempre in mobilità, siano da utilizzare magari per rispondere ad esigenze di altri uffici.
L’unico elemento di regolazione che appare di spettanza della giunta è una previsione nel regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi che faccia divieto assoluto al dirigente o responsabile di servizio di esprimere nulla osta condizionati alla copertura del posto che si rende vacante ed alla riproposizione di quel posto per non meno di tre anni, poiché, appunto, il nulla osta non può che essere il frutto di una valutazione tecnico organizzativa tale da assicurare comunque il raggiungimento degli obiettivi, sia pure con un dipendente in meno.
Resta, però, il dubbio sulla competenza ad esprimere il nulla osta nel caso in cui la mobilità sia chiesta dai dirigenti o, negli enti privi di dirigenza, dai responsabili di servizio.
In questo secondo caso, la funzione dirigenziale, almeno negli enti in cui siano presenti segretari comunali di classe B e A, si potrebbe risolvere individuando nel segretario il dirigente competente.
Ma, la soluzione resta deficitaria, perché il segretario non è destinatario della gestione complessiva del comune, disponendo di poteri di coordinamento delle attività dei vertici organizzati vi, ma non della concreta gestione.
Del resto, i vertici organizzativi negli enti privi di dirigenza sono tali solo a seguito di un provvedimento del sindaco che conferisca loro le funzioni dirigenziali (da cui scatta obbligatoriamente l’incarico nell’area delle posizioni organizzative), ai sensi dell’articolo 109, comma 2, del d.lgs 267/2000.
Negli enti senza dirigenza, dunque, le specifiche funzioni di vertice possono esservi come non esservi, a seconda che il sindaco attribuisca o meno la funzione dirigenziale.
Dunque, l’espressione del nulla osta ad opera del segretario pare debba essere condizionata dallo scrutinio, fatto col sindaco, dell’esistenza di altri funzionari eventualmente incaricabili ai sensi dell’articolo 109, comma 2, per fare fronte alla mobilità del vertice; oppure, per verificare se l’assetto organizzativo non sia modificabile con l’eliminazione della struttura di vertice del funzionario in mobilità, accorpandola in altra struttura.
Analoghe considerazioni potrebbero svolgersi per la mobilità chiesta dai dirigenti. V’è, però, l’articolo 16 del Ccnl 23.12.1999 ai sensi del quale “Qualora il dirigente presenti domanda di trasferimento ad altra amministrazione del Comparto che vi abbia dato assenso, il nullaosta dell’amministrazione di appartenenza è sostituito dal preavviso di 4 mesi”.
E’ noto che sul punto si è aperto un dibattito: la norma contrattuale, dopo la riscrittura dell’articolo 30 del d.gs 165/2001 a seguito del d.l. 90/2014, convertito in legge 114/2014, è tutt’ora applicabile, posto che ai sensi del comma 2.2 di detto articolo “Sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi in contrasto con le disposizioni di cui ai commi 1 e 2”?
Chi dovrebbe contribuire a dare indirizzi chiari per la questione, cioè l’Aran, di solito molto risoluta nell’esprimere pareri piuttosto originali e fonte di problemi applicativi, sul tema rimane molto “abbottonato”. Nella Raccolta sistematica delle disposizioni contrattuali aggiornata al gennaio 2017, sul punto, in modo molto “deciso”, l’agenzia afferma, nella nota n. 98: “Questa disciplina contrattuale non sembra essere ulteriormente applicabile alla luce della nuova formulazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 165/2001, come modificato dall’art. 4 del d.l. n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114”.
Ci piacerebbe che soggetti ai quali la norma, non si sa quanto opportunamente, attribuisce poteri di interpretazione o di soft law, evitasse di farsi “sembrare” le interpretazioni e, piuttosto, desse indicazioni chiare e risolutive, per non lasciare il cerino in mano alle amministrazioni abituate a gestire, decidere, operare e non a farsi “sembrare” le cose. Se si ha il ruolo si interpretare l’applicazione dei contratti, non si dovrebbe esprimersi come si fosse degli interpreti di dottrina, i quali hanno tutto il diritto di esprimere teorie alla luce di intuizioni e di visioni talvolta impossobili da dare per certe, ma finalizzate all’affermazione del dubbio necessario all’ulteriore ricerca.
Detto questo, a chi scrive sembra che l’indicazione dell’Aran e della dottrina favorevole alla disapplicazione dell’articolo 16 del Ccnl 23/12/1999 non sia corretta e che, dunque, la norma continui ad applicarsi.
E’ vera la sanzione di nullità per le clausole contrattuali contrarie alla nuova formulazione della mobilità.
Ma, è anche vero che l’articolo 16 non è del tutto contrario e in violazione dell’obbligo delle amministrazioni di esprimere il nulla osta. Semplicemente prevede che il nulla osta possa essere reso nella forma del preavviso. E’ chiaro che a questo punto il nulla osta non è formato dall’amministrazione, ma da un atto di volontà del dirigente stesso. Tuttavia, i 4 mesi di preavviso sono certamente funzionali alle operazioni di revisione organizzativa come quelle suggerite per il caso della mobilità chiesta dalla posizione organizzativa negli enti privi di dirigenti. Non si deve, inoltre, dimenticare che l’intera disciplina della dirigenza pubblica è orientata alla massima flessibilizzazione del rapporto di lavoro: la mobilità è vista dal legislatore (lo sarebbe stata ancor di più se fosse passata la riforma della dirigenza) come elemento positivo per l’anticorruzione e la qualificazione dell’esperienza professionale. Considerare, dunque, inapplicabile un istituto contrattuale volto alla funzionalizzazione della mobilità dei dirigenti al loro sviluppo professionale ed alla necessaria “contendibilità” massima possibile degli incarichi dirigenziali, appare una forzatura.
In ogni caso, negli enti con la dirigenza, laddove si ritenesse inoperante l’articolo 16 del Ccnl 23/12/1999, non esistendo alcun rapporto gerarchico con il segretario comunale e con il direttore generale, poiché è il sindaco che conferisce e gestisce gli incarichi, pare evidenziarsi l’unica situazione nella quale è l’organo di governo a disporre il nulla osta, quale conferma della natura pubblicistica e non privatistica dell’incarico dirigenziale, nonostante le erronee pronunce di senso opposto della Cassazione.

 

Ma, proprio le considerazioni suggerite sopra sulla permanente applicabilità dell’articolo 16 del Ccnl 23/12/1999 potrebbero risolvere l’aporia ed evitare che un organo di governo adotti atti di gestione.
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