18/01/2017 – Corruzione per chi sponsorizza la squadra di calcio per sbloccare la pratica in Comune

Corruzione per chi sponsorizza la squadra di calcio per sbloccare la pratica in Comune

di Federico Gavioli

 

La Corte di cassazione con la sentenza n. 640 del 9 gennaio 2017 , nel respingere il ricorso, ha affermato che l’imprenditore che sponsorizza la squadra di calcio del paese al solo fine di ottenere in cambio lo sblocco di una pratica edilizia in Comune, risponde del reato di corruzione.

Il fatto 

Un imprenditore è ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello che aveva confermato la pronuncia di condanna emessa in primo grado, per corruzione, per avere dato una somma alla squadra di calcio del paese, apparentemente come sponsorizzazione della società sportiva, in realtà affinché alcuni pubblici ufficiali beneficiari, compissero, nel contesto dell’iter amministrativo di rilascio di una concessione a favore della sua società, atti d’ufficio consistenti nell’individuazione di una certa area come idonea alla realizzazione di una struttura commerciale e nella formulazione di un parere favorevole al rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di un capannone, atti compiuti in esecuzione di un accordo corruttivo stabile nel tempo.

Le motivazioni del ricorso in Cassazione 

L’imprenditore, nel ricorso in Cassazione, evidenzia che la sentenza dei giudici del merito presentava dei vizi in quanto non aveva considerato le dichiarazioni di un professionista che aveva provveduto a integrare e correggere la documentazione necessaria, ottenendo l’autorizzazione del Comune, senza che venisse posto in essere alcun atto illecito. Solo successivamente alla conclusione dell’iter amministrativo e senza alcun collegamento con quest’ultimo, è stato sbloccato il modesto finanziamento a favore della squadra di calcio del paese, che era stato concordato, nel lontano 2005, a titolo di sponsorizzazione, direttamente dall’imprenditore con gli organi di dirigenza della società sportiva, erogando esclusivamente la modesta somma di euro 3.300, assolutamente sproporzionata rispetto al valore della costruzione che doveva essere autorizzata, costituita da un capannone che richiedeva un investimento di diversi milioni di euro. Non vi è stato dunque, secondo l’imprenditore ricorrente, alcun versamento di un prezzo per l’ottenimento di un atto illecito, tanto che i pubblici ufficiali che, secondo l’accusa, concorsero a realizzare la corruzione, erano stati assolti dalla Corte d’appello.

L’analisi della Cassazione 

La Corte di cassazione evidenzia che i giudici di secondo grado hanno preso in esame tutte le risultanze acquisite e le deduzioni difensive; in particolare i giudici del merito hanno analizzato, con grande cura, i contenuti delle conversazioni intercettate, riportandone, nel quadro di una articolata ricostruzione fattuale, i passi salienti, evidenziandone la significazione dimostrativa e sottolineando come da essi si evinca che la sponsorizzazione alla squadra di calcio, da parte dell’imprenditore, costituiva il prezzo della corruzione dei pubblici ufficiali, i quali avevano fatto mercimonio della funzione pubblica, ponendola al servizio del privato, per il conseguimento di un beneficio indiretto, quale il finanziamento della società calcistica, le cui sorti premevano, se non a tutti, sicuramente ad alcuni di loro. 

Di qui la conclusione dei giudici di merito, secondo cui il danaro versato alla società calcistica non fu un’elargizione gratuita, dettata solo dall’obiettivo di farsi accettare dagli abitanti locali, ma il prezzo del favore che la società amministrata dall’imprenditore ricorrente , richiese agli assessori comunali per la definizione della pratica edilizia in corso, sfruttando i legami e la cointeressenza di questi ultimi con la locale squadra di calcio. La Corte territoriale ha, altresì, evidenziato come dai colloqui intercettati sia emerso che il compenso indebito, costituito dapprima dalla promessa di sponsorizzazione a favore della società sportiva locale, per una più elevata somma, e poi dalla successiva, più ridotta, elargizione di euro 4.800, venne concordato antecedentemente alle sedute degli organismi comunali chiamati a deliberare, per quanto di rispettiva competenza, nelle singole fasi in cui si articolava l’iter amministrativo della pratica edilizia. Per la Cassazione è appena il caso di sottolineare che l’interpretazione dei contenuti delle conversazioni intercettate e delle espressioni usate dagli interlocutori è questione di fatto, che è rimessa alla valutazione del giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità ove le relative valutazioni siano motivate, come nel caso in disamina, in conformità ai criteri di logica e alle massime di esperienza. Per i giudici di legittimità non è fondato nemmeno il rilievo formulato dall’imprenditore ricorrente, secondo cui la sentenza impugnata sarebbe in contrasto con la pronuncia assolutoria emessa a carico dei pubblici ufficiali implicati nella vicenda. Da quest’ultima sentenza, emessa dalla Corte d’appello, risulta infatti che l’assessore al commercio del Comune e l’assessore allo sport vennero condannati. Venne, invece, assolto perché il fatto non costituisce reato l’assessore all’urbanistica, sulla base del fatto che vi era la mancanza di prova certa circa la consapevolezza, in capo all’imputato, dell’esistenza e dei termini dell’accordo corruttivo. Non è, pertanto, ravvisabile alcun contrasto logico tra le due pronunce. Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto