03.06.2015 – Separazione tra gestione e controllo, il sindaco non può «correggere» gli atti dei dirigenti

Separazione tra gestione e controllo, il sindaco non può «correggere» gli atti dei dirigenti

di Solveig Cogliani

 

 

Deve escludersi che l’ordinamento conosca un potere di avocazione di singoli affari in capo al sindaco o un suo potere di intervento per rimediare ad eventuali atti illegittimi compiuti dai dirigenti preposti agli Uffici comunali. È quanto ribadisce il Tar Palermo, con la sentenza 21 maggio 2015, n. 1206.

Il caso

Il Tar di Palermo ha annullato, con la sentenza in commento, la determina dirigenziale adottata dal dirigente del dipartimento lavori pubblici, con cui era disposta la modifica del permesso di costruire a suo tempo rilasciato dal competente dirigente del settore urbanistica del Comune, per la realizzazione di un porto turistico, accogliendo il ricorso presentato da parte del soggetto privato concessionario della relativa area demaniale, che aveva precedentemente conseguito il rilascio del permesso gratuitamente, sul’allora ritenuto presupposto dell’applicabilità dell’articolo 17, Dpr n. 380 del 2001, in considerazione della consistenza della realizzazione di attrezzature di interesse pubblico previste dal Prg.

Ciò che assume primo rilevo per il Tribunale è il profilo dell’incompetenza.

L’atto, infatti, era stato adottato in autotutela dal dirigente dei lavori pubblici, poichè, dopo l’assunzione di vari pareri e la delibera della Giunta municipale con cui si ribadiva l’intenzione di provvedere al recupero degli oneri, il Sindaco procedeva ad avocare il procedimento relativo alla pratica in esame, assegnandolo di poi al dirigente del dipartimento lavori pubblici.

Il Tar dunque, ricostruita la vicenda, ha escluso che, nella specie, potesse farsi applicazione dell’articolo 14, Dlgs n. 165 del 2001, che – stante il generale principio di separazione tra apparato burocratico e politica – conserva un potere sostitutivo sul singolo atto e di annullamento per motivi di legittimità solo all’autorità ministeriale.

Concludeva che, nel quadro normativo e regolamentare degli Enti locali, la competenza a provvedere in sede di autotutela va riconosciuta solo allo stesso organo che ha emanato l’atto illegittimo.

L’evoluzione normativa

La riforma della PA attraverso numerosi interventi legislativi dagli anni ’90 ha evidenziato l’importante ruolo svolto dalla dirigenza quale punto di incontro tra l’indirizzo politico e la sua attuazione. Infatti, si è evidenziato in dottrina come l’anomalia della relazione tra politica ed amministrazione, sta nel  fatto che “un’amministrazione imparziale è chiamata ad attuare indirizzi politici che sono per definizione parziali e possono essere, nel sistema maggioritario, fortemente di parte”; tant’è che è proprio l’esigenza dell’“apprestamento di garanzie rispetto ad un temuto uso di parte di strutture in gran parte amministrative” che ha reso necessario accedere all’attuazione del principio di separazione tra politica e amministrazione.

Orbene, seppure la Carta costituzionale non stabilisce espressamente il principio predetto, ma essa delinea già un’idea di amministrazione autonoma dalla politica e dotata di funzioni e responsabilità proprie.

Brevemente si può ricordare che con il Dpr 30 giugno 1972, n. 748, era istituita la dirigenza statale nell’intento – non realizzato – di sottrarre l’alta burocrazia alla precedente piena dipendenza gerarchica dal Ministro e di fornirle competenze proprie ed autonome e di maggiori responsabilità.

È solo, dunque, con il Dlgs n. 29 del 1993 (trasfuso nel Dlgs 30 marzo 2001, n. 165) che si delineano gli aspetti caratterizzanti della nuova dirigenza pubblica (articoli 3 e 14), muovendo proprio dal richiamato principio di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa, e affidando ai dirigenti un’autonoma legittimazione e una diretta responsabilità per la gestione.

Il Dlgs 18 agosto 2000, n. 267 (Tuel) all’articolo 107, ha dato attuazione al principio della separazione tra politica e amministrazione, individuando gli atti di competenza dei dirigenti e riservando agli organi politici solo gli atti politici, di indirizzo politico-amministrativo e di alta amministrazione.

La sostituzione e la competenza in sede di autotutela

Alla luce di tale mutato assetto ordinamentale, la sostituzione, che può essere definita in generale come una relazione che incide sulla legittimazione all’esercizio straordinario di attribuzioni o competenze ordinariamente assegnate dalla Costituzione e dalla legge, che si sposta da un potere o organo a un altro, non mutandone la titolarità, è prevista dall’articolo 14, Dlgs n. 165 del 2001 solo per quanto riguarda l’Autorità ministeriale.

Dispone, infatti, la norma, al comma 3, come principio generale che “Il Ministro non può revocare, riformare, riservare o avocare a se’ o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti”. Tuttavia, “In caso di inerzia o ritardo il Ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l’inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente, che determinino pregiudizio per l’interesse pubblico, il Ministro può nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri del relativo provvedimento”.

Appare evidente che la norma ha un carattere di straordinarietà – come evidenziato dal Tar di Palermo – che non ne consente l’estensione alla relazione Sindaco-dirigenti nell’ambito dell’ordinamento degli Enti locali.

Essa, dunque, non può giustificare l’avocazione del procedimento di autotutela da parte del Sindaco e la sua attribuzione ad altro dirigente.

Valga solo accennare alla non riconducibilità della fattispecie a quella del tutto eccezionale disciplinata dall’articolo 54 del Tuel, ai sensi del quale è attribuito al Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere di emanare motivatamente provvedimenti contingibili ed urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minaccino l’incolumità dei cittadini.

Non può che valere nella fattispecie in esame, pertanto, il generale principio in materia di autotutela, in forza del quale il provvedimento di autotutela – adeguatamente motivato – diretto ad eliminare l’atto illegittimo deve essere a sua volta adottato dall’organo competente, ossia dall’organo titolare del potere di emanazione del provvedimento annullato o revocato.

Tale assunto trova riscontro nella giurisprudenza amministrativa per la quale  “l’atto di autotutela è espressione dello stesso potere di cui è emanazione il provvedimento che ne costituisce l’oggetto e, pertanto, può essere adottato solo dall’organo titolare del potere” (cfr. Consiglio giustizia amministrativa Sicilia, Sezione giurisdizionale, sentenza 2 maggio 2000, n. 205; Consiglio Stato, Sez. V, 30 novembre 2000, n. 6354; Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20 febbraio 2006, n. 701).

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